La valutazione del rischio climatico può incrementare la capacità degli edifici di fronteggiare i problemi ambientali emergenti, come l’aumento della temperatura media, le ondate di calore e le precipitazioni estreme.
Indipendentemente dalle cause e dalla loro origine, il riscaldamento globale è una tendenza riconosciuta in modo pressoché unanime dal mondo scientifico, al punto che i cambiamenti climatici sono oggetto di studi per aggiornare i modelli utilizzati per le previsioni meteorologiche. Il riscaldamento globale è associato sia all’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi, che hanno iniziato a manifestarsi anche in aree geografiche marginalmente interessate in passato da questi fenomeni, sia a effetti cronici come la costante crescita delle temperature medie dell’aria in tutte le stagioni.
La valutazione del rischio climatico è una disciplina che, previa analisi dei rischi e della vulnerabilità di edifici e infrastrutture, propone misure di mitigazione e adattamento per aumentarne la resilienza e ridurre i costi connessi ai cambiamenti in atto.
Consulenza mirata
Ne abbiamo parlato con l’ing. Mattia Mariani, Operations Director Building Performance Group di Deerns Italia:
«Ci occupiamo del comportamento e delle prestazioni complessive dell’edificio, quindi di fisica edile, environmental design, sostenibilità energetica, commissioning, certificazioni, ecc., compresa la valutazione del rischio climatico. Quest’ultima sta conoscendo una rapida affermazione nei paesi di cultura anglosassone e inizia a diffondersi anche in Italia, soprattutto per effetto della domanda proveniente dal mondo immobiliare e assicurativo. Il cambiamento climatico, infatti, è oggi il principale rischio emergente per il patrimonio costruito, che interessa gli edifici esistenti al pari di quelli di nuova realizzazione».
In cosa consiste la valutazione del rischio climatico?
«La valutazione interessa l’intero edificio per tutta la durata prevista dal progetto e non consiste in una mera valutazione dei requisiti generali. Al contrario, si tratta di una consulenza mirata alle specificità dell’edificio considerato e del suo territorio, che conduce generalmente a soluzioni ad hoc rispondenti alla realtà di ogni singolo progetto.
Il principale obiettivo è supportare i progettisti – in particolare chi si occupa di involucro edilizio e impianti – nell’individuazione di soluzioni che aumentano la resilienza dell’edificio, per mantenere nel tempo le prestazioni attese, limitare i danni in caso di evento estremo e, in ultima istanza, evitare la riduzione del valore immobiliare».
Fenomeni acuti e cronici
Quali sono le tipologie degli eventi considerati?
«In generale possiamo distinguere due categorie di fenomeni:
- acuti (ad esempio ondate di calore e gelo, forti precipitazioni prolungate, tempeste di vento, ecc.), che possono produrre effetti anche disastrosi in brevi periodi di tempo;
- cronici (incremento della temperatura dell’aria, siccità, innalzamento del livello del mare, ecc.), che hanno un andamento graduale e tendenzialmente più prevedibile».
Entrambe comportano costi diretti e indiretti. Per gli eventi acuti si tratta, ad esempio, delle spese per riparazione e sostituzione di beni danneggiati o distrutti, per la limitazione o l’interruzione dell’attività fino all’aumento dei premi assicurativi, oltre all’eventuale perdita di parte del valore commerciale dell’edificio.
I costi legati ai cambiamenti cronici comprendono invece le maggiori spese per l’approvvigionamento di risorse (ad esempio energia, acqua, ecc.), per le misure di adattamento e per la manutenzione; sono da considerare anche il possibile aumento del prelievo fiscale (carbon tax) e la diminuzione o la perdita di sussidi e finanziamenti.
«Per le aree urbane, attualmente i rischi sono normalmente associati alle ondate di calore e alle precipitazioni estreme, che hanno una ricaduta sulla progettazione architettonica, principalmente per le misure passive, e sulla progettazione impiantistica, soprattutto per quanto riguarda le alterazioni meteorologiche croniche. Ovviamente ogni situazione dev’essere considerata a 360 gradi».
I “percorsi di concentrazione rappresentativi” (RCP: Representative Concentration Pathway), che descrivono questi scenari, sono stati adottati formalmente dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e sono utilizzabili per le modellazioni. Attualmente ne sono stati definiti sette:
- RCP 1.9 prevede l’aumento della temperatura media globale (Tmg) al di sotto di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali (obiettivo dell’Accordo di Parigi);
- RCP 2.6 è uno scenario molto rigoroso in tema di riduzione delle emissioni (Tmg < 2 °C entro il 2100);
- RCP 3.4 è uno scenario meno rigoroso (2 °C ≤ Tmg ≤ 2,4 °C entro il 2100), considerato la proiezione più plausibile;
- RCP 4.5 prevede il picco delle emissioni intorno al 2040 (Tmg ≤ 3 °C entro il 2100);
- RCP 6 prevede il picco delle emissioni intorno al 2080 (Tmg ≤ 4 °C entro il 2100);
- RCP 7 è considerato un risultato di base piuttosto che un obiettivo di mitigazione;
- RCP 8.5 è lo scenario peggiore, considerato improbabile.
Flessibilità strutturale e gestionale
Le ondate di calore modificano per lunghi periodi le condizioni climatiche che sono alla base dei requisiti del progetto dell’involucro edilizio e degli impianti di climatizzazione, creando problemi di comfort e di consumo energetico connessi principalmente allo stress provocato ai generatori termofrigoriferi e alle reti di distribuzione.
«In questo caso si analizzano il comportamento dell’edificio e i risultati delle soluzioni ipotizzate con una simulazione dinamica, eseguita considerando diversi scenari di cambiamento climatico in relazione alla durata dell’intervento da realizzare. La simulazione è estremamente utile per individuare quali soluzioni, strutturali e/o gestionali, offrono il miglior rapporto fra costi e benefici.
Generalmente il sovradimensionamento non è una soluzione consigliabile, in quanto un impianto sovradimensionato è mediamente più energivoro e quindi meno efficiente. Una migliore integrazione fra architettura e impianti può condurre a soluzioni strutturali passive, connesse al disegno dell’involucro e alle sue prestazioni, che possono contribuire all’abbattimento del carico.
Un’altra possibilità consiste nella progettazione di un impianto di climatizzazione modulare, che permetta ad esempio di aggiungere un nuovo generatore nella centrale termofrigorifera, ma esistono anche alternative gestionali. Considerando che la vita media di una macchina termofrigorifera è inferiore rispetto a quella dell’edificio, si può ipotizzare la sostituzione dei generatori a fine vita con macchine più potenti rispetto a quelle previste in origine.
L’insieme di queste scelte provoca normalmente ricadute significative sul resto del progetto, ad esempio sul dimensionamento dei cavedi e sulla possibilità di aggiungere o sostituire i terminali in ambiente. Si tratta perciò di decisioni che interessano trasversalmente le diverse discipline e che non possono essere disgiunte da considerazioni circa la flessibilità dell’edificio».
Progettazione integrata
Le precipitazioni anomale per intensità e durata sono un fenomeno acuto, sempre più frequente in Italia…
«Questo problema può essere affrontato, ad esempio, in relazione alla raccolta delle acque meteoriche. In caso di pioggia forte e prolungata la capacità del serbatoio potrebbe rivelarsi insufficiente e comportare dei rischi per la sicurezza. Se il regolamento locale prevede norme per l’invarianza idraulica, è possibile mettere a sistema entrambi i requisiti per individuare una soluzione idonea alla riduzione del rischio e in grado di ottimizzare costi e benefici.
Sempre in tema di urban flooding, si possono prevedere opere di compartimentazione dei locali tecnici, la presenza di impianti per l’aspirazione dell’acqua dai livelli inferiori degli edifici, oppure l’installazione di componenti strategici e/o particolarmente costosi nei livelli superiori, per contenere i danni da alluvione e velocizzare la ripresa delle attività».
La valutazione del rischio climatico è perciò propedeutica alla progettazione?
«In generale – conclude l’ing. Mariani – è consigliabile eseguirla nelle fasi iniziali dell’iter progettuale, sia per le fruttuose sinergie che si possono instaurare fra i professionisti interessati, sia perché le misure di adattamento possono comportare costi di realizzazione inferiori se già previste del progetto. Questa possibilità è peraltro già considerata in alcuni protocolli di sostenibilità, che attribuiscono punteggi in caso di valutazione del rischio climatico».
Nel maggio scorso Copernicus individuava in +1,18 °C l’attuale aumento della temperatura media globale rispetto al periodo pre-industriale. Stante l’attuale ritmo di crescita, la soglia di +1,5 °C (obiettivo dell’Accordo di Parigi) sarà raggiunta nel gennaio 2034. Secondo il CNR, il 2023 ha mostrato un aumento significativo delle temperature medie rispetto al periodo di riferimento 1991-2020.
In Italia l’anomalia media è stata di +1,12 °C, (secondo anno più caldo dopo il 2022), con valori nell’ordine di +1,28 °C al nord, +1,25 °C al centro e +1,15 al sud del paese. Questi dati confermano le previsioni contenute nel rapporto dal titolo “Consumi energetici e heating degree days (HDD) a confronto. Proiezioni al 2050 degli HDD in differenti scenari climatici”, a cura dell’ISPRA.
Nel caso dei gradi-giorno di riscaldamento (HDD), ad esempio, lo scenario al 2030 con RCP 4.5 prevede diminuzioni significative nell’ordine del -11% (zone climatiche A+B), -7% (C+D) e -6% (E+F). Contestualmente il rapporto segnala previsioni di crescita anche per i cooling degreee days (CDD).