La situazione energetica in Italia

Come ogni anno, il Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato la “Relazione sulla situazione energetica nazionale”, un documento che illustra in maniera sintetica l’andamento del settore energetico, aggiornato al 2018.

Nel 2018 – si legge nel documento – la crescita dell’economia italiana ha perso slancio, in un contesto internazionale segnato da un progressivo indebolimento anche per effetto del rallentamento del commercio mondiale. La ripresa dell’attività nella prima parte dell’anno ha però sostenuto la domanda di energia che, per il terzo anno consecutivo, ha proseguito a crescere (+1,6% rispetto al 2017), pur rimanendo ancora inferiore ai valori pre-crisi.

La domanda di energia primaria è cresciuta più del PIL, a conferma che non si è ancora realizzato il disaccoppiamento tra crescita economica e crescita del consumo di energia (tale variazione, tuttavia, risente del cambio della metodologia di rilevazione dei prodotti petroliferi, al netto della quale si registrerebbe una sostanziale stabilità.

La domanda – continua la Relazione – è stata soddisfatta da gas naturale e petrolio (complessivamente quasi il 70% del totale), dalle fonti rinnovabili (oltre un quinto del totale) e, in modo residuale, dall’energia elettrica importata e dai combustibili solidi. È anche proseguito l’aumento della domanda finale, cresciuta dell’1,5%, confermando la tendenza manifestatasi negli ultimi anni, trainata in particolare dalla ripresa dei trasporti. In termini settoriali, è ancora cresciuta la domanda di energia per gli usi civili, che rimangono il primo settore di consumo finale (+0,7%), seguito dai trasporti (+3,2%). Rimane debole la domanda dell’industria.

Le dinamiche più innovative del sistema energetico nazionale – rileva il Ministero – rimangono legate al ruolo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, coerentemente con gli impegni assunti dal nostro Paese per il 2020 e rafforzati nel Piano Energia e Clima 2030. I progressi di questi due perni della strategia di decarbonizzazione, legati anche agli obiettivi di sicurezza ed economicità, mostrano però risultati annuali non uniformi.

Le fonti energetiche rinnovabili – sottolinea la Relazione – hanno consolidato il proprio ruolo trovando ampia diffusione in tutti i settori di impiego (elettrico, termico e trasporti) e si confermano come una risorsa strategica, anche in termini economici e occupazionali, per lo sviluppo sostenibile del Paese. Nel 2018 le FER hanno comunque soddisfatto oltre il 18% dei consumi finali lordi di energia, ben oltre l’obiettivo previsto dal target europeo al 2020. Con riferimento al solo settore elettrico, l’incidenza delle FER – calcolate applicando i criteri di calcolo della direttiva 2009/28/CE – sul consumo interno lordo di energia elettrica al netto dei pompaggi è stimata pari al 34,5%, oltre 3 punti percentuali in più rispetto al 2017 e il secondo valore più elevato degli ultimi sei anni dopo il 2014 (quando la quota di FER era stata pari al 37,5%). In particolare, il risultato è connesso al recupero della generazione idroelettrica, per effetto delle migliori condizioni di piovosità, mentre si contrae quella delle altre FER. La relazione stima che nel 2018 alle attività legate alla realizzazione e gestione di nuovi impianti alimentati da FER siano corrisposte circa 58.000 unità di lavoro permanenti e poco meno di 38.000 temporanee.

Il livello di efficienza energetica del nostro paese, pur soddisfacente e tradizionalmente tra i migliori in Europa, invece – lamenta il Ministero – mostra una battuta d’arresto: l’intensità energetica del PIL nel 2018 risulta infatti in lieve aumento (intorno alle 106,7 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per milione di euro), pur rimanendo tra i valori più bassi dei paesi dell’area Ocse. Si evidenzia quindi – secondo il documento – la necessità di aumentare le azioni per migliorare l’efficienza energetica, in particolare nei settori civile e dei trasporti, dove la domanda di energia continua a crescere e dove sarà ancora più importante, in vista dei target non -ETS 2030, invertire la tendenza. Il livello di efficienza – sostiene il Ministero – è frutto del miglioramento tecnologico e dei molti strumenti di promozione adottati (dalle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici, al nuovo Conto Termico, ai Titoli di efficienza energetica) che hanno portato a rilevanti risparmi di energia e, conseguentemente, alla riduzione delle emissioni: complessivamente, nel periodo 2014-2018, si stima che con le sole misure attive per l’efficienza energetica siano stati risparmiati 11,8 milioni di tep e sono quasi 26 i milioni di tep di risparmi attesi al 2020.

L’accresciuto ruolo delle FER e la dinamica di progressiva riduzione dell’intensità energetica (pur in arresto nel 2018) hanno contribuito alla diminuzione della dipendenza del nostro Paese da fonti di approvvigionamento estere. La quota di fabbisogno energetico nazionale soddisfatta da importazioni, pur rimanendo elevata (pari al 74%), è risultata ulteriormente in discesa ed è ormai da anni al di sotto dei valori storici. Le imprese appartenenti al settore energetico nel 2018 hanno generato un valore aggiunto pari all’1,7% del PIL, in rallentamento, dopo la crescita registrata nel 2017. La contrazione è stata più marcata nel settore della raffinazione del petrolio rispetto a quello della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata. Permane il divario di costi energetici che svantaggia il nostro Paese: il differenziale fra i prezzi dei prodotti energetici in Italia e nell’Unione Europea rimane positivo ma è ripreso il processo di convergenza iniziato qualche anno fa.

Si conferma – conclude la relazione – un significativo premio pagato dalle imprese italiane per l’energia elettrica (in riduzione) e uno per il gas acquistato dalle famiglie (in crescita). Ciò è anche il risultato della maggiore pressione fiscale che nel nostro paese colpisce i prodotti energetici: nel 2017, ultimo dato disponibile, ogni tep di energia finale utilizzata era gravata da una imposta di 373 euro, un valore superiore del 51% alla media europea.