L’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, ha presentato l’“VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia, anno 2023”, che traccia la fotografia più recente del settore in Italia.
Secondo il Rapporto, dopo oltre 10 anni di crescita continua, interrotta solo dalla pandemia, il numero dei liberi professionisti in Italia si attesta, nel 2022, a 1.349.000 unità, segnando una flessione del 3,7% rispetto al 2021. Il bilancio diventa ancor più pesante se si considera che negli ultimi quattro anni circa 76 mila professionisti hanno abbandonato la loro attività, con una variazione negativa del 5%.
Il settore professionale – continua il Rapporto – si muove in netta controtendenza rispetto alle dinamiche occupazionali della forza lavoro in Italia. Tra il 2018 e il 2022, infatti, il numero di occupati è cresciuto dello 0,6% ma è stato assorbito quasi esclusivamente dal lavoro dipendente, che aumenta di oltre 765 mila unità, a scapito di quello indipendente che nello stesso periodo perde 291 mila posti di lavoro. Non solo, il calo del comparto professionale si ripercuote anche a livello europeo, dove l’Italia con 48 liberi professionisti ogni mille occupati perde la leadership e cede il passo ai Paesi Bassi, che detengono il primo posto per tasso di presenza della libera professione, con 50 liberi professionisti ogni mille occupati.
L’incertezza di un quadro economico assai complesso, insieme con il preoccupante declino demografico del Paese – lamenta il Rapporto – sta modificando profondamente le caratteristiche del settore, che se da una parte vede ridursi il numero degli iscritti a un ordine professionale; dall’altra non riesce più ad attrarre le giovani leve. Nonostante l’aumento del numero di laureati, il Rapporto registra, infatti, una scarsa propensione verso la libera professione.
Tra il 2018 e il 2022 il numero di laureati che hanno scelto la libera professione è passato da 20.795 a 18.644, segnando un calo del 10,3%. La flessione degli iscritti colpisce quasi tutte le categorie professionali e risulta più marcata nel Mezzogiorno, che sconta una massiccia ondata migratoria verso le regioni del Centro e del Nord. Un fenomeno che ridisegna la configurazione degli studi.
Se durante la pandemia i più penalizzati erano stati gli studi con dipendenti, nel 2022 si inverte la tendenza, con il recupero di quasi 11 mila professionisti datori di lavoro (e sono le donne a trascinare la crescita); mentre cala di circa 63 mila unità il numero di professionisti senza dipendenti. Un dato che indica una tendenza a rafforzare i livelli occupazionali e, quindi, una spinta verso i processi aggregativi degli studi professionali.
Secondo il Rapporto di Confprofessioni, le dinamiche occupazionali che hanno caratterizzato il settore professionale negli ultimi due anni incidono sulle caratteristiche demografiche del comparto stesso, dove si assiste a un ribilanciamento di genere. Al di là del calo numerico complessivo che coinvolge sia la popolazione maschile (-4,6%) sia quella femminile (-2,1%), le donne sono cresciute maggiormente rispetto agli uomini. In ritardo, però, le professioni tecniche dove la quota di libere professioniste non raggiunge il 24%. Da questo punto di vista, le regioni più virtuose sono Emilia Romagna, Lazio e Piemonte; mentre le regioni dove si registra il maggior squilibrio di genere sono Calabria, Liguria e Campania.
Nel 2022 il reddito medio annuo dei professionisti iscritti alle casse di previdenza private è salito a quota 38.752 euro, in aumento rispetto ai 33.269 euro del 2021 e con un balzo del 14,2% rispetto al periodo precrisi pandemica. A beneficiare della crescita dei profitti sono soprattutto le professioni tecniche, grazie anche alla spinta del Superbonus. In cima alla classifica si collocano i geometri con un incremento del 37,7% sul 2010, seguiti a ruota dai geologi (+29,8%), architetti (+28,4%) e ingegneri (+25,9%).