Verso la neutralità carbonica

Cornell University
Fig. 1 – Il campus della Cornell University presenta una superficie costruita di 1,3 milioni di m2 – Photo Credits: Cornell University, Iwan Baan, Matthew Carbone, Lukas Schaller, Transsolar

Per il grande campus dell’università americana Cornell University, negli ultimi anni sono state adottate una serie di soluzioni innovative per la produzione termofrigorifera e la climatizzazione degli edifici, con l’obiettivo di essere carbon neutral entro il 2035.

La Cornell University si trova a Ithaca, nello stato di New York, e appartiene alla Ivy League, il gruppo delle 8 più importanti istituzioni americane nel campo dell’istru­zione. Fondata nel 1865 dai senatori Ezra Cornell (ma­gnate del telegrafo e socio di Samuel Morse) e Andrew Dickson White, l’università può vantare tra i suoi laureati 50 premi Nobel e risulta ogni anno ai primi posti nelle classifiche dei migliori ate­nei al mondo.

Il principio ispiratore dei fondatori era basato sull’insegnamen­to e la ricerca in ogni disciplina dello scibile umano, dalle mate­rie umanistiche alle scienze, affrontando aspetti sia teorici sia pratici. Tali ideali erano all’epoca assolutamente non comuni e sono ben espressi in una frase di Ezra Cornell, diventata il motto dell’università: “Voglio fondare un’istituzione in cui chiunque possa studiare qualunque cosa”. L’università conta oggi più di 23 mila studenti e quasi 1700 professori e dispone di laboratori dedicati alla ricerca in campo scientifico che, nel 2018, hanno avuto a disposizione risorse economiche pari a quasi un miliardo di dollari.

Uno dei settori che negli ultimi anni ha ricevuto più investimenti è stato quello della sostenibilità ambientale in nome della quale è stata avviata una serie di programmi aventi l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie da sperimentare direttamente presso il campus dell’università. In particolare, per portare un contributo effettivo alla lotta contro i cambiamenti climatici, nel 2009 l’università ha sviluppato un Climate Action Plan con l’obiettivo di diventare Carbon Neutral entro il 2035. A tale scopo, per tutti gli interventi relativi alla realizzazione di nuovi edifici e alla riqualificazione di quelli esistenti, è prevista la certificazione LEED con livello non inferiore a Silver.

Nel complesso, gli edifici de campus (figura 1) presentano una superficie riscaldata pari a quasi 1,3 milioni di m2, mentre quella dotata di impianti di climatizzazione è pari a 720.000 m2. I fabbisogni energetici di punta registrati nel 2018 sono stati pari a 35 MW elettrici, 90 MW termici e 90 MW frigoriferi. L’infrastruttura per la fornitura dei vettori energetici prevede un insieme di soluzioni tra loro integrate (figura 2).

Cornell University L’energia elettrica è fornita da una centrale idroelettrica da 1200 kW, che sfrutta un salto idraulico di 35 metri tra il lago Beebe e la Falls Creek Gorge, da 6 campi fotovoltaici e da una centrale di cogenerazione, con due turbine a gas da 15 MW ciascuna per una produzione annua elettrica e termica di circa 270.000 MWh.

Il fabbisogno frigorifero è invece soddisfatto dalla centrale LSC (Lake Source Cooling) a scambio termico che sfrutta l’acqua del vicino lago Canyuga e da una centrale frigorifera dotata di sistema di accumulo di acqua refrigerata.

In questo articolo vengono illustrati gli aspetti tecnici della centrale LSC e del progetto ESH (Earth Source Heat), relativo allo studio di fattibilità tecnica ed economica di un sistema geotermico di profondità per la produzione di energia termica ed elettrica, unitamente a due interventi realizzati sugli edifici del campus che hanno ottenuto la certificazione LEED Gold.

Lake Source Cooling

Realizzato nel 2000, il progetto Lake Source Cooling (LSC) uti­lizza le acque profonde e fredde del lago Cayuga come fonte di raffreddamento per la rete di distribuzione di acqua fredda a servizio di tutti i campus della Cornell. Il sistema LSC è stato il primo negli Stati Uniti, e uno dei primi al mondo, a utilizzare l’ac­qua fredda di un lago profondo come fonte rinnovabile. Da allora sono stati realizzati altri progetti simili, come ad esempio quelli di Toronto, Amsterdam e Ginevra.

Il sistema di teleraffreddamento per il campus è stato realizza­to negli anni Sessanta e collega più di 100 edifici mediante una rete di tubazioni configurata ad anello lunga oltre 16,1 km. Prima della costruzione del sistema LSC il fabbisogno frigorifero era for­nito da tre centrali, per un totale di otto chiller, e da un sistema di accumulo di acqua refrigerata stratificata con un volume di 16.700 m3.

Alla fine degli anni Novanta, fattori quali la continua crescita del carico frigorifero, l’eliminazione graduale dei refrigeranti CFC, l’invecchiamento progressivo delle apparecchiature e l’aumento dei costi energetici hanno portato la Cornell a valutare l’oppor­tunità di implementare un cambiamento radicale del sistema di produzione dell’energia frigorifera. Per sei degli otto chiller non risultava conveniente il retrofit con i nuovi refrigeranti HFC e sa­rebbe stato necessario sostituirli prima del 2005, con un costo per la riqualificazione delle centrali stimato in 70 milioni di dollari.  A seguito di un dettagliato studio di fattibilità, eseguito in stretta collaborazione tra i ricercatori dell’università e i responsabili tec­nici del Facility, è stato quindi deciso di realizzare il progetto LSC.

A fronte di un costo di investimento di 58,5 milioni di dollari, il sistema garantisce oggi una riduzione dell’86% del consumo energetico rispetto alle centrali frigorifere tradizionali, con la conseguente riduzione delle emissioni inquinanti prodotte dal­le centrali elettriche. Esso offre anche il vantaggio di eliminare l’impiego di gas refrigeranti e di presentare una vita utile com­presa tra 75 e 100 anni, rispetto ai 30-40 anni tipici dei gruppi refrigeratori.

Il sistema fornisce attualmente una potenza frigorifera di pun­ta superiore a 70 MW, facendo circolare una portata massima d’acqua di 2020 L/s.  Nell’unica centrale frigorifera restante di quelle preesistenti sono presenti 3 chiller centrifughi funzionanti con fluidi HFC e con una potenza frigorifera totale di 27 MW. La centrale è collegata con il sistema di accumulo di acqua refrigerata che provvede a stoc­care l’energia frigorifera durante la notte, sfruttando le tariffe delle ore vuote, e consente di soddisfare i carichi di punta estivi, fungendo inoltre da riserva in caso di fermo di alcuni chiller per manutenzione.

La centrale LSC

L’impianto LSC si trova in prossimità dell’estremità meridionale del lago Cayuga, il secondo più grande dei Finger Lakes nello stato di New York (figura 3).

Fig. 3 – La centrale di raffreddamento LSC si trova sulle sponde del lago Canyuga

Questo lago di origine glaciale è lun­go circa 61 km, largo 1,6 km e profondo fino a 130 metri. L’acqua viene aspirata a una temperatura di 4/5 °C mediante una presa adeguatamente schermata situata a una profondità di 76 metri, quindi convogliata attraverso più di 3 km di tubazioni in polietilene ad alta densità con diametro di 1600 mm (64 polli­ci) per arrivare alla vasca della centrale di scambio termico.

Fig. 4 – Vista interna della centrale con pompe e scambiatori di calore

Qui l’acqua viene prelevata da tre pompe a turbina ad asse verticale con velocità variabile, con una potenza di 261 kW, e spinta attra­verso sette scambiatori di calore a piastre in acciaio inox collega­ti in parallelo (figura 4).

L’acqua viene quindi restituita al lago a una temperatura com­presa tra 9 e 13 °C dove viene distribuita mediante una tubazio­ne in PEAD lunga più di 200 metri che termina con un diffusore forellato lungo 30 metri, posto a una profondità di circa 4 metri.

La figura 5 mostra lo schema funzionale dell’impianto:

Fig. 5 – Schema funzionale dell’impianto LSC

Il calore riversato ogni anno nel lago viene completamente rila­sciato nell’ambiente esterno entro la metà dell’inverno. L’apporto termico annuale equivale a quello di due ore di luce solare.

La rete di distribuzione dell’acqua fredda è costituita da tubazioni interrate configurate ad anello che collegano i 4 diversi campus (Center, North, East e West) e la centrale frigorifera (figura 6).

L’anello si collega infine a una tubazione in acciaio saldato con diametro di 1050 mm (42 pollici), dotata di rivestimento isolante, che si sviluppa per circa 4 km fino ad arrivare alla centrale LSC. L’acqua proveniente dall’anello viene spinta attraverso gli scam­biatori di calore e poi rimandata nell’anello da cinque pompe centrifughe a velocità variabile da 447 kW dimensionate per vincere soltanto le perdite di carico lungo le tubazioni: essendo l’anello chiuso non è infatti necessario garantire la pressione sta­tica causata dal dislivello di 137 metri tra la parte superiore del campus e l’impianto.

Dalla sua messa in funzione il sistema LSC ha funzionato con un’efficienza media superiore a 25, intesa come rapporto tra i kW frigoriferi erogati e la potenza elettrica assorbita. Con una ti­pica produzione frigorifera annuale di oltre 106 mila MWh, esso consente di risparmiare più di 25 milioni di kWh di energia elet­trica.

L’impianto è gestito in modo completamente automatico e integrato nel sistema di supervisione delle utenze che consente il monitoraggio in continuo del funzionamento da parte degli ope­ratori, distanti quasi 5 km, grazie al collegamento in fibra ottica.

Le sfide tecniche

Due aspetti particolarmente impegnativi del progetto sono stati la selezione degli scambiatori di calore e l’idronica del sistema di distribuzione. Il calore viene trasferito dalla rete dell’anello al sistema LSC attra­verso sette scambiatori di calore a piastre, progettati per fornire alla rete acqua refrigerata a circa 6 °C con un approccio di 1,7 K.  Gli scambiatori hanno unai pressione nominale di 2069 kPa e si trovano sul lato di aspirazione delle pompe dove la pressione di esercizio è tipicamente compresa tra 1380 e 1720 kPa.

La rete di distribuzione del campus prevede circuiti di miscela­zione tra primario e secondario a portata variabile che fornisco­no agli edifici acqua fredda a 7/8 °C in estate (con ritorno a 16 °C) e a 10 °C durante l’inverno. Il carico frigorifero totale sull’impianto comprende sia quello rela­tivo al fabbisogno degli edifici sia l’apporto termico che si verifica lungo le tubazioni di distribuzione, che rappresenta un valore di picco di 2820 kW. Sulla base della portata di punta, l’area della superficie di scambio è stata determinata bilanciando il coeffi­ciente di trasmissione termica e la perdita di carico.

In fase di progetto a tutti i costruttori degli scambiatori è stato chiesto di presentare un’offerta base e due alternative con una minore quantità di scambiatori. Il processo di ottimizzazione ha incluso la valutazione del coef­ficiente di scambio termico rispetto alla perdita di carico. Una superficie maggiore aumenta il costo iniziale ma riduce i costi operativi. Il team di progetto ha sviluppato un modello per simu­lare il funzionamento degli scambiatori di calore con il profilo di carico annuale previsto e calcolare il “costo di proprietà”.

La selezione finale è stata effettuata in base al valore attualizza­to. Tale valore, riferito a una riduzione della perdita di carico di 6,9 kPa attraverso gli scambiatori di calore, è stato stimato per un periodo di 10 anni. In considerazione del grande potenziale di risparmio, è stata selezionata una perdita di carico di progetto di 69 kPa attraverso gli scambiatori. Durante il processo di otti­mizzazione, i dati e i costi garantiti dal fornitore hanno portato alla scelta di una perdita di carico di 96,5 kPa, aumentando la capacità termica disponibile per le poche ore all’anno in cui l’im­pianto funziona con portate di picco, con minimi costi operativi aggiuntivi durante le condizioni non di punta.

Il precedente sistema di teleraffreddamento era dotato di tre centrali di produzione di acqua refrigerata situate all’estremità della rete di distribuzione ad anello del campus. Il sistema LSC si collega invece direttamente al centro del sistema esistente, modificando quindi in modo significativo l’idraulica del sistema. Uno studio della rete di distribuzione del campus mediante un programma di analisi del flusso ha determinato il collegamen­to ottimale all’anello, le sezioni del sistema di distribuzione che richiedevano un potenziamento e la prevalenza richiesta dalla pompa.

Nell’esecuzione dell’analisi idraulica sono stati considerati alcuni requisiti. La pressione differenziale tra mandata e ritorno a ogni sottocentrale di edificio è compresa tra un minimo di 34,5 kPa e un massimo di 207 kPa, mentre la pressione di alimentazione non deve essere superiore a 965 kPa. La velocità del fluido non è superiore a 3 m/s e la pressione del sistema al punto di allaccio è di 414 kPa.

Una particolare sfida tecnica è stata infine causata da uno stac­co radiale lungo 900 metri che alimenta il lato est del campus. Non sarebbe stato infatti possibile soddisfare i requisiti di pres­sione differenziale minima utilizzando le pompe installate presso la centrale LSC senza superare i requisiti di pressione differen­ziale massima nell’anello del campus. È stata quindi aggiunta una stazione booster di pompaggio collegata in serie, riducendo in tal modo la pressione dell’anello e la potenza di pompaggio complessiva di 261 kW, pari a più del 10% della potenza com­plessiva.

L’elevata variazione della portata del sistema riduce il funzionamento della pompa a meno di 500 ore all’anno. La pom­pa è di tipo monostadio a doppia aspirazione con una portata di 631 L/s e una prevalenza di 140 Pa. Il requisito di alta portata e bassa prevalenza ha richiesto una selezione particolare della pompa e del motore in modo da utilizzare un prodotto standard. Il punto di funzionamento a 900 giri/min con potenza di 89,5 kW viene soddisfatto mediante l’uso di un motore da 1200 giri/min e un motore da 149 kW dotato di un azionamento a velocità va­riabile.

Il convertitore è configurato in modo da far funzionare la pompa alla velocità massima di 900 giri/min corrispondente alla velocità nominale. La portata è controllata da un variatore di fre­quenza che regola la velocità in base alla pressione differenziale al carico più remoto.

Earth Source Heat

Nella continua ricerca di soluzioni per diventare Carbon Neutral, la Cornell sta procedendo non solo in avanti ma anche sottoter­ra, con un progetto che prevede la realizzazione di un prototipo di pozzo di trivellazione per esplorare la fattibilità, e garantire la sicurezza, relativa all’utilizzo dell’energia geotermica di profondi­tà per riscaldare il campus.

Il progetto, chiamato Earth Source Heat (ESH), consiste nell’e­strazione di energia termica sotto forma di acqua surriscaldata a una temperatura di 120-140 °C dalla crosta terrestre a una profondità compresa tra 3 e 5 km, e nel trasferimento di questo calore al circuito di teleriscaldamento che serve la maggior parte degli edifici del campus, restituendo poi l’acqua al sottosuolo.

Il progetto ESH non solo consentirebbe di riscaldare il campus senza bruciare combustibili fossili ma rappresenta anche un’in­teressante opportunità per la ricerca scientifica. La Cornell ha iniziato a valutare questa soluzione per la prima volta nel 2009, quando l’università ha creato il suo Action Plan per il clima, e ha perfezionato il concetto negli ultimi anni attraverso una serie di studi e workshop. Una sovvenzione di 7,7 milioni di dollari rice­vuta dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE), annun­ciata nell’agosto 2020, ha stabilito di fatto la Cornell come banco di prova per lo studio di questa tecnologia a livello nazionale.

Uno dei vantaggi di questo progetto è il fatto che esso potrebbe consentire di raggiungere l’obiettivo di neutralità carbonica del campus entro il 2035 grazie a significativi risparmi di emissioni.

I meccanismi alla base dell’ESH sono relativamente semplici (figura 7):

Fig. 7 – Il progetto ESH prevede la realizzazione di coppie di pozzi per il pompaggio dell’acqua fredda e l’estrazione dell’acqua surriscaldata

L’acqua viene estratta da un pozzo di produzione e attraversa poi uno scambiatore di calore. L’acqua viene quindi reiniettata in un secondo pozzo in modo che possa circolare attraverso le rocce naturalmente calde attraverso una rete di pori e fessure sotterranee, aumentando quindi nuovamente di temperatura quando viene riportata al pozzo di produzione.

Allo scambiatore di calore l’energia termica viene trasferita al circu­ito secondario di teleriscaldamento che attraversa il campus e si collega ai singoli edifici. L’acqua proveniente dal sottosuolo e l’acqua della rete di teleriscaldamento del campus non entrano quindi mai in contatto tra loro. Sulla base di stime preliminari, il campus potrebbe essere riscaldato da tre o quattro coppie di pozzi, ma sono necessarie ulteriori ricerche e analisi per deter­minare se il progetto è fattibile e per mitigare potenziali conse­guenze negative.

A tale scopo l’università ha progettato la costruzione di un pro­totipo di pozzo profondo 3000 metri da collocare in un parcheg­gio (figura 8). Il prototipo, chiamato Cornell University Borehole Observatory (CUBO), consentirà ai ricercatori di studiare quanto calore può essere prodotto dall’energia geotermica, se esso sarà sufficiente per le esigenze del campus e per quanto tempo, e quali sono gli eventuali effetti collaterali indesiderati.

Fig. 8 – Il progetto si svilupperà in 3 fasi: raccolta dei dati (a), realizzazione di un pozzo esplorativo (b) ed esecuzione della coppia di pozzi (c)

Il team di CUBO ha già identificato tre zone geologiche nettamente diverse da prendere in esame. Stabilire la profondità esatta dei pozzi e la temperatura corrispon­dente della roccia, la portata del fluido, le sue caratteristiche e il tipo di roccia, sono tutti aspetti fondamentali per quantificare benefici, costi e rischi del progetto.

Si prevede che l’approccio sarà molto diverso per ciascuna delle zone prese in esame, dato che ognuna presenta sfide diverse dal punto di vista tecnico, ambientale e fisico. Il raggiungimento di questi obiettivi aiuterà a decidere se il progetto è fattibile e sicuro. I ricercatori punteranno in modo specifico a utilizzare le rocce più calde, con temperatura superiore a 70 °C. Non verranno fatti circolare fluidi all’interno del pozzo esplorativo, né verrà estratto calore da esso.

Il CUBO servirà esclusivamente per la raccolta di dati e il monitoraggio del cambiamento dei fluidi, della tempera­tura e delle condizioni meccaniche nel sottosuolo. Il diametro del foro sarà di 36 pollici in superficie e conterrà ca­micie progressivamente sempre più piccole con fori progressi­vamente più sottili, che si restringeranno attorno a un involucro centrale da 8 pollici che si estenderà per l’intera lunghezza del foro, insieme a cavi in fibra ottica per raccogliere e trasmettere dati. Il pozzo sarà circondato da cinque strati di rivestimento e di cemento per isolarlo. Le uniche sostanze chimiche che verranno utilizzate nella co­struzione sono quelle che vengono tipicamente utilizzate per la perforazione dei pozzi, come acqua e bentonite.

Per garantire la sicurezza delle perforazioni e delle attività sono stati installati quattro pozzi di monitoraggio delle acque intorno al sito. Una serie di sismometri è già stata posizionata intorno al campus, sia in superficie sia sottoterra, vicino e lontano dal sito, in modo da stabilire una baseline dell’attività sismica naturale e rilevare la sismicità indotta dalle attività umane, come i battipa­lo utilizzati per le costruzioni e le esplosioni nelle cave. Il pozzo d’acqua privato più vicino è a quasi un miglio di distanza dal sito. La pianificazione e la progettazione di CUBO richiederanno circa sei mesi e la costruzione dovrebbe iniziare alla fine dell’estate.

Le attività di perforazione e di monitoraggio, per la quale verran­no inseriti nel pozzo speciali strumenti di misurazione per racco­gliere dati e testare il sottosuolo, dureranno circa otto mesi, men­tre la sovvenzione del DOE avrà una durata di tre anni. In questo periodo il team provvederà ad analizzare i dati, a perfezionare le stime e a determinare la fattibilità della tecnologia in questa specifica area geologica, il tutto a uso non solo della Cornell, ma anche di altri che in futuro potrebbero puntare su questa tecno­logia come soluzione in termini di energia termica sostenibile e rinnovabile.

MILSTEIN HALL

La Milstein Hall è il primo edificio di nuova costruzione realizzato in oltre 100 anni per il College of Architecture, Art and Planning (AAP). La struttura è situata tra l’area dell’Arts Quad, il cuore storico dell’università, e la gola naturale di Falls Creek, che de­finisce l’ingresso al campus da nord.

In precedenza, l’AAP era ospitato in quattro edifici separati, diversi per stile architettonico e uso funzionale ma simili come tipologia. Piuttosto che creare un nuovo edificio indipendente, si è preferito realizzare una sorta di aggiunta agli edifici esistenti per creare un complesso unitario caratterizzato dalla continuità tra spazi interni ed esterni tra loro interconnessi (figura 9).

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Fig. 9 – L’edificio si sviluppa su una superficie complessiva di 4.200 m2

La Milstein Hall offre 4.200 m2 aggiuntivi per il dipartimento, ag­giungendo lo spazio necessario per lo studio, uno spazio esposi­tivo, una biblioteca e un auditorium da 253 posti. La caratteristi­ca principale del progetto architettonico è costituita dalla grande piastra orizzontale, con dimensioni di 60 per 50 metri, sollevata da terra e collegata agli edifici Sibley Hall e Rand Hall. Questo spazio destinato allo studio si erge a sbalzo a un’altezza di quasi 15 metri sulla University Avenue per stabilire una rela­zione diretta anche con l’edificio della Foundry, un’altra delle strutture esistenti dell’AAP.

Fig. 10 – Grazie al progetto strutturale è stato possibile realizzare un grande spazio aperto destinato allo studio, con gli impianti a soffitto lasciati a vista

Grazie a una facciata con vetri da pavimento a soffitto su tutti i lati l’ambiente gode di una vista completa verso l’esterno. L’ampio volume della piastra, strutturalmente supportata da un sistema a traliccio, stimola l’interazione e consente un utilizzo flessibile. Le strutture esposte a vista sono state progettate per bilanciare la piastra a sbalzo e realizzare uno spazio aperto (figura 10).

Il controllo delle condizioni di benessere ambientali è garantito da un impianto a travi fredde di tipo passivo poste a soffitto (figu­ra 11) che forniscono il raffreddamento utilizzando unicamente l’acqua fredda proveniente dal lago Canyuga. Il riscaldamento è invece fornito dal pavimento radiante integrato nel solaio in cal­cestruzzo.

Fig. 11 – Il controllo delle condizioni ambientali è affidato a travi fredde di tipo passivo e a un sistema radiante a pavimento

La ventilazione e il controllo dell’umidità sono invece affidati all’immissione di aria primaria effettuata mediante diffusori cir­colari a flusso elicoidale posti a soffitto e alimentati da UTA dota­te di recupero di calore. L’impiego di un sistema di climatizzazione di questo tipo è sta­to reso possibile da vetri isolanti ad alte prestazioni con coating basso emissivo, che assicurano il massimo sfruttamento della luce naturale e al tempo stesso un’adeguata protezione dal cari­co solare, e quindi ridotti carichi frigoriferi.

L’impianto di illuminazione è costituito da corpi illuminanti so­spesi a soffitto con la medesima forma delle travi fredde ed è gestito da un sistema di controllo programmabile collegato a sensori di luce naturale per mantenere livelli costanti di intensità luminosa che bilanciano la luce naturale con quella artificiale. Data l’esposizione a est e sud è stata inoltre adottata una speci­fica soluzione per controllare la luce naturale, evitando l’effetto di abbagliamento e preservando la vista verso l’esterno. A tale scopo sono state impiegate tende interne sviluppate ad hoc.

Gli interni sono stati progettati riducendo al minimo le finiture. I solai e tutti gli impianti sospesi a soffitto sono lasciati a vista, così come i muri di fondazione in calcestruzzo e l’acciaio delle strutture. Ogni elemento funge quindi da strumento di apprendi­mento per gli studenti di architettura.

Fig. 12 – L’auditorium

Per l’auditorium sono stati previsti diffusori circolari a pavimento (figura 12). La copertura di 2300 m2 è coperta con sedum, piante succulen­ti sempreverdi, e punteggiata da un gruppo di lucernari rivolti a nord che aumentano gradualmente di dimensioni verso il centro della piastra, più lontano dalla facciata esterna, per garantire l’il­luminazione naturale (figura 13).

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Fig. 13 – La copertura verde è punteggiata di lucernari che garantiscono l’illuminazione naturale delle zone centrali
MUI HO FINE ARTS LIBRARY
La ristrutturazione della Rand Hall, uno storico edificio in matto­ni del 1911, ha portato alla realizzazione della Mui Ho Fine Arts Library, un nuovo spazio dedicato a biblioteca per gli studenti che occupa quelli che erano in origine il primo e il secondo piano dell’edificio originario (figura 14).

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Fig. 14 – La nuova biblioteca nasce dalla ristrutturazione completa di un edificio storico

Il piano terra è invece dedicato al laboratorio di modellistica. I progettisti hanno dovuto affrontare la sfida rappresentata dal­le limitate modifiche consentite alla facciata storica e, al tempo stesso, dagli ambiziosi obiettivi in termini di risparmio energetico e di comfort stabiliti dalla Cornell.

Il progetto ha quindi mantenuto all’esterno l’aspetto d’epoca dell’edificio originale, reinterpretando invece in modo contem­poraneo gli interni caratterizzati da un sistema di scaffalature aperte che ospitano la collezione di 120.000 volumi della Fine Arts Library. Il concept architettonico del grande spazio alto 12 metri si basa su una struttura costituita da 4 mezzanini sospesi alla nuova co­pertura, collocati al centro del volume e occupati interamente dagli scaffali che mettono letteralmente in mostra l’anima stessa della nuova biblioteca (figura 15).

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Fig. 15 – Il volume interno è occupato da una struttura sospesa alla copertura che contiene gli scaffali dei libri su 4 livelli

La ristrutturazione ha visto la sostituzione delle finestre originali, caratterizzate da vetro singolo e da un telaio in acciaio e com­poste ognuna da tanti piccoli moduli, con serramenti isolanti a doppio vetro di grandi dimensioni, con un unico modulo per ogni apertura della facciata. Tale soluzione, in combinazione con l’aggiunta dell’isolamento termico posto all’interno della facciata esistente, ha consentito di ridurre notevolmente la trasmissione di calore attraverso l’involucro.

Il progetto dell’impianto HVAC è stato totalmente integrato nell’interior design in modo da ridurre al minimo la presenza di sistemi a vista, soprattutto nella zona degli scaffali. Nelle gior­nate soleggiate le tende a rullo interne poste sui grandi vetri si chiudono e l’aria calda presente dietro le tende sale naturalmen­te lungo la facciata e viene estratta prima di entrare nella zona degli scaffali.

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Fig. 16 – La ventilazione e il raffrescamento sono affidati a un sistema di immissione di aria a pavimento con diffusori circolari

La ventilazione e il raffrescamento dell’ambiente sono affidati a un sistema di immissione di aria esterna che viene diffusa dal basso a pavimento, vicino agli occupanti, a bassa velocità con una temperatura di circa 18 °C, quindi con un ridotto differen­ziale di temperatura rispetto all’ambiente (figura 16).

Il sistema sfrutta l’effetto della stratificazione dell’aria calda che sale in modo naturale verso l’alto. A tale scopo i mezzanini sono dotati di passerelle grigliate che non rappresentano un ostacolo al mo­vimento ascensionale dell’aria. In questo modo sono garantite ottime condizioni di comfort nelle zone occupate, con una tem­peratura uniforme di circa 24 °C su tutta l’altezza dello spazio, come illustrato nella simulazione di figura 17.

Fig. 17 – Profilo della temperatura e della velocità dell’aria nello spazio

Un sistema radian­te integrato nel pavimento della biblioteca copre il fabbisogno re­stante di riscaldamento e raffreddamento, in combinazione con elementi riscaldanti nascosti sotto le finestre. I sensori di luce naturale disposti in tutta la sala di lettura e i sen­sori di presenza nella zona degli scaffali consentono di ridurre al minimo il consumo energetico dell’impianto di illuminazione.

La nuova biblioteca, insieme al laboratorio di modellistica, pre­senta un consumo energetico annuale di 104 kWh/m2, con un risparmio del 72% rispetto all’edificio esistente. Nel 2020 il pro­getto è stato certificato LEED Gold grazie, in particolare, ai punti ottenuti della categoria relativa alle prestazioni energetiche.