Energia dal mondo vegetale

Le energie rinnovabili del futuro dovranno attingere principaImente dall’energia solare. Lo studio e la riproduzione dei processi alla base della fotosintesi clorofilliana, costituiscono una delle vie più promettenti per generare energia ecologica sfruttando la luce del sole.

La fotosintesi naturale è un processo che avviene nelle piante: la luce del sole, assorbita dalle molecole di clorofilla (pigmento verde presente in quasi tutte le piante), trasforma sostanze a basso contenuto energetico (acqua e anidride carbonica) in sostanze ad elevata concentrazione energetica (ossigeno e carboidrati).

H2O + CO2 + Luce solare = O2 + Carboidrati

Utilizzare la CO2 in eccesso nell’atmosfera per produrre sostanze utili, proprio come fanno le piante durante il processo della fotosintesi clorofilliana, costituisce una delle sfide più affascinati che, avviata agli inizi del novecento da Giacomo Ciamician, professore all’Università di Bologna, ha avuto recentemente vari ed importanti contributi da studiosi di tutto il mondo.

La fotosintesi naturale

L’organo in cui avviene la fotosintesi (sintesi chimica operata dalla luce) è la foglia, delimitata superiormente ed inferiormente da strati di cellule epidermiche trasparenti, che consentono il passaggio della luce.

Tra le cellule epidermiche sono presenti delle aperture, gli stomi, che permettono gli scambi gassosi tra l’aria e l’interno della foglia.

Schema generale semplificato della fotosintesi naturale.

Attraverso l’apparato radicale ed il fusto, le foglie ricevono acqua e sali minerali, mentre gli stomi catturano la CO2 presente nell’aria.

Nelle foglie ed in tutti i tessuti vegetali esposti alla luce (fusti erbacei, gemme, boccioli di fiori, ecc.) si trovano altresì i cloroplasti, ovvero organelli cellulari contenenti molecole di clorofilla, in grado di catturare la luce solare.

La fotosintesi avviene nella foglia, ed in modo specifico nei cloroplasti, organelli cellulari contenenti molecole di clorofilla in grado di catturare la luce solare.

 

Il processo della fotosintesi clorofilliana avviene essenzialmente in due fasi:

– una fase luminosa, nel corso della quale la clorofilla assorbe l’energia luminosa necessaria per produrre energia chimica;

– una fase oscura (ciclo di Calvin), che consente la fissazione del carbonio inorganico in molecole organiche, impiegando l’energia generata nella fase luminosa.

Le fasi della fotosintesi clorofilliana: nella fase luminosa si produce energia chimica tramite l’energia luminosa, mentre nella fase oscura avviene la fissazione del carbonio in molecole organiche.

Lo sviluppo della conversione fotochimica che avviene nella fase luminosa, determina la scissione delle molecole d’acqua:

2H2O = O2 + 4H+ + e

liberando ossigeno sotto forma di gas,  mentre gli ioni idrogeno e gli elettroni sono utilizzati nelle reazioni successive per trasformare la CO2 in carboidrati.

Pur essendo le molecole dell’acqua alquanto stabili, la scissione operata dalla suddetta fotolisi svolge un lavoro che, in condizioni ordinarie, necessita di elevate temperature (circa 2000 °C) o di correnti elettriche non indifferenti.

Peculiarità del processo fotosintetico è l’utilizzo dello spettro elettromagnetico visibile. Infatti le radiazioni a lunghezza d’onda maggiore di 750 µm (rosso) hanno scarsa energia, mentre quelle minori di 400 µm (viola) sono talmente cariche di energia che, se assorbite, determinerebbero un rapido degrado di molte molecole biologiche.

Come accennato, gli ioni idrogeno e gli elettroni resi disponibili dalla fotolisi dell’acqua, vengono successivamente assorbiti per la produzione sia di molecole di ATP (adenosintrifosfato), specializzate nel trasporto di energia per svolgere qualsiasi tipo di lavoro biologico all’interno della cellula, che di molecole della forma ridotta NADPH (nicotinammide-adenin-dinucleotide fosfato).

Nella fase oscura avvengono reazioni che, impiegando NADPH come agente riducente e ATP come fonte di energia (oltre ad una complessa serie di enzimi e cofattori presenti nello spazio interno del cloroplasto detto stroma), portano alla conversione della CO2 in glucosio ed altri carboidrati.

Nel processo fotosintetico naturale quindi, l’energia luminosa viene convertita in energia di legame chimico delle molecole degli zuccheri, disponibili come fonte di energia metabolica per le piante ma anche per tutti i consumatori della catena trofica.

La fotosintesi artificiale

Produrre energia chimica pulita ed immagazzinarla in modo efficiente imitando il processo naturale di fotosintesi delle piante: è questo l’obiettivo ideale della fotosintesi artificiale.

La peculiarità della fotosintesi artificiale è rappresentata infatti, dalla possibilità di raccogliere l’energia in un vettore, liquido o gassoso, pronto per essere utilizzato alla necessità.

Obiettivo ideale della fotosintesi artificiale è la produzione di energia chimica pulita ed immagazzinabile, imitando il processo fotosintetico naturale.

Notevole attenzione è rivolta alla scissione della molecola dell’acqua che avviene nella fase luminosa della fotosintesi naturale: riuscire a bloccare il processo a questo punto e consentire agli elettroni di combinarsi con gli ioni H+, realizzerebbe la fotolisi dell’acqua nei termini seguenti:

2H2O = 2H2 + O2

Questo risultato consentirebbe di ottenere un ciclo chiuso nella produzione di energia, senza la generazione di sostanze dannose.

La ricerca sulla fotosintesi artificiale mira quindi alla produzione di combustibili mediante la luce solare, partendo da sostanze molto diffuse come l’acqua e l’anidride carbonica.

Lo studio della fotosintesi naturale ha fatto comprendere che un sistema fotosintetico artificiale, per funzionare deve rispondere a requisiti ben precisi. In particolare è necessario impiegare molecole con specifiche proprietà, assemblandole in una puntuale organizzazione nelle dimensioni dello spazio (distanza reciproca), del tempo (reazioni a velocità differenziata) e dell’energia.

Per ottenere la fotolisi dell’acqua in idrogeno e ossigeno tramite la luce solare, si deve disporre di una unità fotosensibile (PU), di un convogliatore di energia elettronica (ER) verso un centro di reazione, in grado di formare un sito ossidante ed uno riducente in presenza di specifici catalizzatori (CUred – Cuox).

Un sistema fotosintetico artificiale necessita cioè di diverse molecole, ciascuna capace di compiere una specifica funzione (assorbire la luce, trasferire elettroni, ecc.), collegate in una definita sequenza.

Per ottenere la scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno mediante la luce solare, si deve disporre di un sistema dotato di un’antenna, capace di assorbire la luce solare e di convogliare l’energia elettronica risultante in un centro di reazione, in cui si  forma un sito ossidante ed uno riducente. Tali ambienti, separati da una membrana ed in presenza di due specifici catalizzatori, sono in grado rispettivamente di ossidare e ridurre l’acqua, producendo ossigeno ed idrogeno molecolare.

Le principali sfide che la fotosintesi artificiale propone si riducono essenzialmente allo sviluppo di catalizzatori in grado di svolgere reazioni molto complesse, ma che siano anche sufficientemente economici.

Gli approcci della ricerca mondiale sono molteplici ed alquanto diversificati.

Ricalcando il processo fotosintetico naturale, in numerosi laboratori sperimentali americani ed europei sono stati sviluppati prototipi della cosiddetta “foglia artificiale”, ossia un dispositivo composto con materiali sostenibili in grado di produrre idrogeno dall’acqua utilizzando la luce solare.

La foglia bionica di Nocera

Le foglie bioniche che producono combustibili ad alta densità di energia dalla luce solare, dall’acqua e dall’atmosfera senza sottoprodotti all’infuori dell’ossigeno, rappresentano un’ideale alternativa di energia sostenibile rispetto ai combustibili fossili.

Prototipo della “foglia di Nocera”. La prima versione imitava la fase luminosa della fotosintesi, producendo idrogeno con una efficienza del 2,5%. L’ultima versione realizza l’intero processo fotosintetico, convertendo l’energia solare in biomassa, grazie all’addizione di un batterio geneticamente modificato (Ralstonia Eutropha).

Nel 2007 il prof. Daniel Nocera presso il M.I.T. (Massachussets Institute of Technology) di Boston, iniziò a lavorare su questo progetto riuscendo a produrre un prototipo di foglia artificiale, in grado di reindirizzare circa il 2,5% dell’energia solare incidente, nella produzione di idrogeno.

Questa prima versione di foglia artificiale era costituita da un “sandwich” composto da un sottile foglio di silicio semiconduttore, legato da un lato ad uno strato catalizzatore a base di cobalto che rilasciava ossigeno, mentre l’altro lato era collegato ad un catalizzatore in nichel-molibdeno-zinco che liberava idrogeno.

A causa della bassa efficienza e della sua breve vita, per la progressiva corrosione del catalizzatore al nichel, la foglia artificiale di Nocera non risultava competitiva, né con l’idrogeno prodotto da fossili, né con quello ricavato da elettrolisi convenzionale con rinnovabili.

Schema funzionale della PMFC – Plant Microbial Fuel Cell un sistema che, sfruttando un meccanismo proprio della fotosintesi clorofilliana, riesce a produrre energia elettrica direttamente dalle piante.

Passato dal M.I.T. all’università di Harvard, nel 2010 Nocera e la ricercatrice Pamela Silver hanno presentato ufficialmente il progetto “bionic leafe 2.0”, un sistema fotosintetico artificiale completo, che non si ferma alla sola scissione dell’acqua per via fotosintetica, ma che compie l’intero processo convertendo l’energia solare in biomassa.

Il dispositivo è simile alla prima versione di foglia artificiale, ma con l’addizione del batterio “Ralstonia Eutropha” geneticamente modificato, per combinare idrogeno e anidride carbonica al fine di ottenere combustibili liquidi a base di alcool (isobutanolo, isopentanolo), di alto valore energetico e molto più facili da immagazzinare ed utilizzare rispetto all’idrogeno.

Il sistema è in grado di convertire l’energia solare in biomassa con un’efficienza del 10%, molto superiore a quella delle piante a rapida crescita, che arriva ad un valore dell’1%.

Il gruppo di ricerca di Harvard considera la produzione di combustibili solo come un primo passo: i successivi obiettivi infatti, consistono nella creazione di una piattaforma sintetica di composti chimici rinnovabili che, tramite altri tipi di batteri, sia in grado di prelevare azoto dall’atmosfera per generare fertilizzanti direttamente nel terreno.

Il progetto PLANT-E

Plant-e è la società olandese che ha creato il PMFC – Plant Microbial Fuel Cell, un particolare sistema che sfrutta un meccanismo proprio della fotosintesi clorofilliana, per produrre energia elettrica direttamente dalle piante.

Tramite la fotosintesi clorofilliana le piante producono materiale organico, una parte del quale viene utilizzato per lo sviluppo della stessa arborescenza, mentre la aliquota inutilizzata viene rilasciata nel terreno tramite le radici, diventando nutrimento per i microrganismi presenti nell’humus circostante.

Applicazione della PMFC: lampada autosufficiente, senza cavi di connessione ad una presa di corrente. All’interno di un tubo di vetro è posizionata una pianta che, tramite il processo fotosintetico, genera una corrente elettrica sufficiente ad alimentare appositi led, i quali si illuminano al semplice tocco delle foglie.

La decomposizione di questi composti organici ad opera dei suddetti batteri, determina l’immissione di elettroni e protoni nel terreno, come sottoprodotto della loro normale attività.

Inserendo un anodo ed un catodo nell’ambiente di coltura della pianta, si “raccoglie” una tensione elettrica che può essere utilmente sfruttata, senza procurare alcun danno o disturbo alla vita delle piante.

Particolarmente appropriate per lo sfruttamento di tale fenomeno, si sono rivelate le coltivazioni di riso.

La tecnica descritta può essere adottata su larga scala sia in terreni adatti alle coltivazioni, rispettando i cicli di produzione, che in terreni inadatti, contaminati o inquinati, che si trasformerebbero in preziose fonti di energia.

Prototipo di pannello bio-fotovoltaico, che sfrutta il principio della PMFC, attualmente in fase di studio e sviluppo nel Campus Valldaura IAAC – Catalogna.

Le celle a combustibile microbico vegetale PMFC sono a tutt’oggi in fase di sperimentazione, essendo i numeri conseguiti alquanto contenuti: 0,4 W/ m2. Sembra però ormai prossimo l’obiettivo di ottenere 3,2 W/m2, ciò che consentirebbe ad un appezzamento di 100 m2, di soddisfare il fabbisogno energetico di una famiglia.

Conclusioni

La fotochimica, prima di essere una branca della scienza moderna è un importante fenomeno naturale, che provvede al mantenimento degli organismi viventi mediante il processo della fotosintesi che avviene nei vegetali, e che è alla base della formazione ed accumulo dei combustibili fossili (carbone, petrolio, metano).

Il sole in un’ora fornisce al pianeta energia sufficiente a coprire i consumi di un anno: è quindi razionale studiare soluzioni per il problema energetico, cercando di utilizzare in modo efficiente l’enorme quantità di energia proveniente dal sole.

Lo studio della conversione fotochimica è, in linea di principio, il metodo più avvincente per lo sfruttamento dell’energia solare.

Invece di produrre energia in modo unidirezionale dai combustibili fossili con rilascio di gas serra, possiamo invertire il processo e riciclare il carbonio nell’atmosfera per produrre carburante, usando l’energia del sole.

Come si è visto, la fotosintesi artificiale è ormai prossima a dare un efficace contributo all’accessibilità di energia sostenibile.

Dott. Ing. Giacomino Redondi