La prima edizione del Water Management Report del Politecnico di Milano, partendo da una panoramica generale sull’ammontare dei prelievi e dei consumi di acqua a livello mondiale ed europeo, si focalizza sull’analisi dei prelievi, dei consumi e degli sprechi di acqua nel contesto italiano evidenziando in particolar modo i settori civile e industriale.
Fondato nell’ambito della School of Management del Politecnico di Milano una decina di anni fa, l’Energy&Strategy Group rappresenta ormai da tempo un punto di riferimento nell’analisi delle prospettive finanziarie e imprenditoriali nei settori delle fonti rinnovabili e delle nuove tecnologie per una gestione intelligente dell’energia. Per la prima volta il gruppo di ricerca ha però deciso di analizzare le potenzialità di miglioramento nella gestione di un altro bene fondamentale, quello dell’acqua, concentrandosi in particolare su due aspetti: l’impiego delle risorse idriche nel mondo industriale e le infrastrutture per gli usi civili. Arrivando alla conclusione che esiste una regressione quasi perfetta tra water ed energy intensity (le industrie che usano più energia sono infatti quelle che consumano più acqua) e che gli investimenti per il potenziamento dei sistemi idrici a livello civile sono stati ingenti del periodo 1999-2015 (11,8 miliardi di euro) ma non sono stati indirizzati verso gli ambiti che avrebbero potuto far ottenere i successi maggiori nel combattere le dispersioni, che sono assai elevate nel nostro Paese: ogni 100 litri di acqua immessa nelle reti idriche per usi civili nel 2015, oltre 40 litri venivano dispersi, con punte del 50% nel Centro e nel Sud (nel 2012 le dispersioni erano inferiori, pari a 37 litri ogni 100 immessi).
Quanta acqua si consuma nel mondo e in Italia?
I prelievi di acqua dolce nel mondo hanno registrato una crescita significativa dal dopo guerra a oggi, essendo triplicati dal 1950 al 2010, con un trend di crescita 1,7 volte maggiore rispetto all’andamento demografico (figura 1).
Negli ultimi sette anni, la crescita del consumo di acqua è stata di oltre il 50%: l’umanità ha consumato circa 6.000 km3 di acqua dolce nel 2017, valore che si stima raddoppierà da qui al 2100. L’acqua ci sembra un bene di disponibilità infinita, ma ricordiamo che la porzione di acqua dolce utilizzabile è solamente il 3% di tutta quella presente sul pianeta, e il 2% è conservata nei ghiacci perenni. Peculiarità dell’Europa è che il settore industriale copre oltre il 50% dei consumi di acqua, con agricoltura e civile a dividersi a parti quasi uguali il restante 50%. In tutti gli altri continenti, è il settore agricolo a consumare la quota maggiore di acqua (figura 2).
Nell’Europa mediterranea, l’area che ci riguarda più da vicino, è l’agricoltura, grazie al clima mite e al terreno fertile, a coprire oltre 50% dei prelievi per l’irrigazione dei campi (figura 3).
In Italia, il consumo complessivo di acqua è pari di 26 miliardi di metri cubi annui. Di questi, il 55% è consumato nel settore agricolo (l’Italia sta dietro solamente la Spagna come superficie irrigata in Europa), seguito dal settore industriale (27%) e da quello civile (18%). I settori agricolo e industriale si approvvigionano marginalmente dalla rete idrica, usata quasi esclusivamente in ambito civile. Il prelievo annuo di acqua ammonta però a 33 miliardi di metri cubi e la differenza tra prelievo e consumo rappresenta le dispersioni, che costituiscono così il secondo ambito di impiego. Esse sono concentrate soprattutto nell’ambito civile (figure 4 e 5).
Se nel settore civile le perdite rappresentano il 40% dei prelievi, nel settore industriale le perdite ammontano a solamente il 12% dei prelievi, grazie al fatto che spesso le industrie hanno captazioni locali e non necessitano delle reti di distribuzione come invece accade in ambito civile. In ambito agricolo le perdite sono del 17%.
La remunerazione dell’acqua
«Uno dei motivi dell’elevato valore delle perdite di acqua nel settore civile – ha spiegato il prof. Davide Chiaroni nel corso della presentazione del report – è quello della complessità del passaggio dalle fonti, alle reti di distribuzione fino al consumo finale. Ma lo scarso interesse alle dispersioni risiede probabilmente anche nel fatto che il costo della risorsa non è così significativo, per cui gli interventi che servirebbero per ridurre le perdite non hanno ritorni interessanti, pur in presenza di soluzioni tecnologiche consolidate e mature più efficienti. Un tema interessante è quello quindi del costo dell’acqua. Una domanda che dobbiamo porci è se ha senso aumentare il prezzo dell’acqua per l’utente finale. Oggi il costo diretto di approvvigionamento da acque superficiali e sotterranee (usate soprattutto in ambito industriale) viaggia tra 0,15 e 0,35 euro al metro cubo, mentre il costo diretto di approvvigionamento dalla rete idrica per gli usi civili varia tra 1 e 2 euro al metro cubo. È da questi numeri che dobbiamo partire per comprendere la convenienza degli eventuali investimenti nel sistema idrico nazionale».
I numeri della rete idrica italiana
Le reti di distribuzioni italiane erogano ogni anno 4,8 miliardi di metri cubi di acqua, con una dispersione media del 40,66%, il valore maggiore a livello europeo (figura 6).
«La differenza nei valori di dispersione – ha affermato Davide Chiaroni – non è significativa tra aree più o meno urbanizzate, mentre è relativamente apprezzabile tra il Nord e il Sud del Paese. Non esiste in Italia comunque una best practice che possa essere paragonata alle migliori condizioni di riferimento europee». Delle perdite così elevate sono da addebitare in primo luogo all’età media degli acquedotti (figura 7) e a una manutenzione non sempre all’altezza. Basti pensare che il numero di guasti sulla rete per chilometro è di 55 in Italia contro 11,6 della media europea e che la percentuale di rete che viene manutenuta ogni anno è il 38% contro il 57% della media europea. Per di più, l’8% delle reti italiane sono ancora in cemento amianto, malgrado la legge 257 del 1992 avesse dichiarato la necessità di eliminare questo materiale dalle infrastrutture idriche.
Allo spreco di acqua si associa anche lo spreco di energia: nel settore civile per ogni metro cubo di acqua si usano 0,78 kWh per le attività di captazione, adduzione, potabilizzazione e distribuzione contro 0,49 kWh al m3 a livello europeo (figura 8). Poiché il 40% circa dell’acqua prelevata viene dispersa, ciò significa che stiamo sprecando 3,2 TWh e 550 milioni di euro di risorse finanziarie. Il valore elevato del kWh al m3 nel centro del Paese riflette gli impatti significativi delle tipologie di fonti di approvvigionamento, della morfologia del territorio e della lunghezza dei sistemi acquedottistici.
«Esistono – ha puntualizzato Davide Chiaroni – le risposte tecnologiche per affrontare il problema delle dispersioni. Si va dalla gestione delle pressioni con controlli passivi, controlli sistematici, controlli attivi e distrettualizzazioni, alla riduzione delle perdite tramite interventi di risanamento o sostituzione, all’efficientamento energetico con sistemi di pompaggio efficienti. Non sono vecchi soltanto gli acquedotti ma anche i sistemi legati alla movimentazione dell’acqua».
Gli attori del sistema idrico civile
Il servizio idrico civile si articola in base agli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), grazie a cui il territorio è stato suddiviso in aree omogenee al fine di gestire in maniera integrata e ottimale il ciclo idrico di adduzione, prelievo, potabilizzazione, distribuzione e fognatura. In Italia sono stati definiti 92 ATO (53 al Nord, 21 nel Centro e 18 nel Sud), che rappresentano bene la distribuzione della popolazione del Paese e ciascuno regolato da un Ente d’Ambito. Per ciascun ATO dovrebbe esistere un gestore unico di riferimento per l’intero ciclo idrico, ma ancora oggi devono essere assegnati 18 gestori (la Legge 35 del 2012 dava un anno di tempo per assegnare il gestore a ciascun ATO). I primi dieci gestori per popolazione servita (tabella 1) coprono il 50% del totale della popolazione italiana: oltre 30 milioni di persone per un volume di mercato complessivo di 3,5 miliardi di euro
Tab. 1 – I primi dieci gestori unici degli ATO per popolazione servita e i relativi dati economici e finanziari.
Società | Popolazione servita | Fatturato 2016 (k €) | Fatturato “idrico” 2016 (k €) | EBITDA 2016 (k €) | EBITDA “idrico” 2016 (k €) |
Acea | 8.500.000 | 2.832.400 | 641.000 | 896.300 | 355.000 |
Acquedotto Pugliese | 4.077.166 | 460.249 | 460.249 | 174.650 | 174.660 |
Gruppo Hera | 3.600.000 | 4.460.200 | 807.700 | 916.600 | 228.800 |
Ireti | 2.600.000 | 854.000 | 486.000 | 319.000 | 163.000 |
SMA Torino | 2.240.969 | 312.948 | 312.948 | 136.616 | 136.616 |
Gruppo CAP | 2.500.000 | 260.000 | 260.000 | 117.951 | 117.951 |
Società Risorse Idriche Calabresi | 1.959.050 | 93.960 | 93.960 | 39.840 | 39.840 |
Abbanoa | 1.650.000 | 248.896 | 248.896 | 61.333 | 61.333 |
ABC Napoli | 1.650.000 | 90.147 | 90.147 | 16.030 | 16.030 |
MM – Metropolitana Milanese | 1.377.380 | 270.918 | 143.709 | 47.239 | 36.964 |
Sono questi i soggetti che dovrebbero intervenire per diminuire le dispersioni. Gli investimenti dei gestori, attraverso risorse pubbliche, dal 1999 al 2015 sono stati di oltre 11,8 miliardi di euro per circa 5.800 interventi. La figura 9 mostra la suddivisione territoriale degli interventi. La maggior degli interventi si è concentrata nel Sud, simbolo soprattutto della vetustà delle infrastrutture.
Come mostrato in tabella 2, gli investimenti sono stati destinati in particolare alla manutenzione o sostituzione delle fognature e dei sistemi di depurazione.
Tab. 2 – Numero di interventi nelle infrastrutture idriche italiane dal 1999 al 2015 e valore relativo in milioni di euro.
Tipologia di intervento | Attività | Numero interventi | Valori in milioni di € |
Servizio idrico integrato | Acquedotto | 1.607 | 2.910 |
Acquedotto – Fognatura | 331 | 525 | |
Fognatura – Depurazione | 3.972 | 7.855 | |
Riuso delle acque reflue | 30 | 248 | |
Dighe | 22 | 313 | |
Totale | 5.812 | 11.851 |
«È interessante – ha proseguito Davide Chiaroni – valutare quali sono stati i risultati concreti di questa mole di investimenti in termini di riduzione delle dispersioni idriche. Poiché si è intervenuti soprattutto nelle fognature e nei sistemi di depurazione e meno sulla distribuzione, le dispersioni sono diminuite poco e non sono statu raggiunti dei risultati particolarmente significativi (figura 10). Se vogliamo invertire la tendenza, dobbiamo quindi modificare i mix di investimenti. Oggi disperdiamo oltre il 40% dell’acqua e la perdita fisiologica ineliminabile per furti e rotture a cui dovremmo tendere è intorno al 10%. Se fossimo al 10% di dispersione, dovremmo prelevare tra 5,3 e 5,5 miliardi di metri cubi di acqua per mantenere i medesimi consumi odierni e risparmieranno tra 2,7 e 2,9 miliardi di metri cubi di acqua. Questi risparmi corrispondono a 2 TWh elettrici risparmiati ogni anno, per un controvalore di 370 milioni di euro. La domanda da porsi è quanto sia fattibile un tasso di dispersione del 10% attraverso gli investimenti futuri già programmati».
Per il periodo 2016-2019 si prevedono investimenti da finanziare attraverso la tariffa idrica di 7,8 miliardi. A queste risorse, dovrebbero aggiungersi investimenti pubblici dalla fiscalità generale per 2,1 miliardi di euro, per un totale che si avvicina ai 10 miliardi di euro. Gli investimenti saranno destinati in primo luogo alla depurazione (29% del totale) e alle fognature (25%), mentre alla distribuzione andrà soltanto il 19% degli investimenti complessivi. «Se è positivo il fatto che si investa di più rispetto al passato (11,8 miliardi nel periodo 1999-2015 e 10 miliardi in quello 2016-2019), ancora una volta la parte della distribuzione, dove si annida la quota maggiore delle dispersioni, non gioca il ruolo del leone» ha sottolineato Davide Chiaroni. Gli obiettivi legati a agli investimenti 2016-2019 sono i seguenti:
– mantenere delle condizioni iniziali per i gestori che presentano un rapporto tra il volume delle perdite totali e il volume immesso in distribuzione inferiore al 25%;
– una riduzione annua dell’1% per i gestori che presentano un rapporto tra il volume delle perdite totali e il volume immesso in distribuzione tra il 25% e il 34%;
– una riduzione annua del 5% per i gestori che presentano un rapporto tra il volume delle perdite totali e il volume immesso in distribuzione superiore al 55%.
«Grazie a questi obiettivi – ha sottolineato Davide Chiaroni – entro 5 anni si dovrebbe arrivare a un tasso di dispersione del 30,66%. Partendo dal 40%, vuol dire risparmiare 1,2 miliardi di metri cubi di acqua l’anno. Ciò equivale a 1 TWh l’anno di risparmio energetico e a 160 milioni di euro di risorse liberate. Tutto questo è fattibile? La risposta è sì, se guardiamo all’incremento relativo degli investimenti rispetto al passato. Se guardiamo al mix di investimenti, la risposta diventa forse. Se guardiamo a come potranno essere realisticamente implementati gli investimenti la risposta è probabilmente no. I soggetti gestori, da un lato, tendono a scontrarsi con una gestione day-by-day o emergenziale di breve periodo che può prosciugare le limitate risorse a disposizione, lasciando poco spazio per interventi di lungo termine e non sono sufficientemente spinti a risparmiare la risorsa idrica percepita come a basso costo. Senza contare il fatto che spesso si trovano a dover gestire problematiche, come gli allacciamenti abusivi, su cui hanno uno scarso controllo. Dall’altro lato, i decisori politici dovrebbero aiutare lo sviluppo di un sistema normativo che favorisca gli investimenti e che suggerisca agli operatori come investire. Se la distribuzione del mix sarà quella del passato, la storia ci ha insegnato che difficilmente si riuscirà a scalfire le dispersioni».
I potenziali di risparmio nel comparto industriale
I ricercatori del Politecnico di Milano hanno poi analizzato quali potrebbero i potenziali di risparmio idrico nell’industria attraverso l’implementazione di soluzioni tecnologiche efficienti. nel 2015 il volume di acqua dolce consumata in ambito industriale è stato di circa 6,9 miliardi di metri cubi: 5,5 miliardi nel manifatturiero e 1,4 miliardi nella produzione di energia (il report si è focalizzato sull’ambito manifatturiero, dove i primi cinque settori (prodotti chimici, gomma e materie plastiche; siderurgia e metalli di base; altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi; carta e prodotti di carta; tessile) coprono il 55% dei consumi totali (tabella 3).
Tab. 3 – I primi cinque ambiti industriali del settore manifatturiero in Italia per consumo di acqua.
Settori industriali | Acqua consumata
(migliaia di m3) |
%di consumo di acqua | Acqua consumata (m3)/produzione venduta (k€) |
Prodotti chimici, gomma e materie plastiche
|
1.326.322 | 24,08% | 18,342
|
Siderurgia e metalli di base
|
552.148
|
10,02% | 10,760
|
Altri prodotti della lavorazione di minerali non
metalliferi |
419.030
|
7,61% | 18,137
|
Carta e prodotti di carta
|
345.686
|
6,44% | 16,674
|
Tessile
|
348.496
|
6,33% | 21,708
|
Per questi cinque settori, il report ha analizzato le tecnologie maggiormente water intensive, andando a valutare in particolare i consumi energetici, l’efficienza di consumo dell’acqua e le condizioni di reimmissione dell’acqua nel sistema. Poiché è assai complesso definire un unico processo produttivo tipo per ogni settore industriale, sono stati identificati i seguenti sub-settori significativi (per fatturato o consumo di acqua), con l’intento di stabilire i processi maggiormente water intensive:
– produzione del PET nel chimico;
– siderurgia elettrica nel siderurgico;
– produzione di ceramica nella lavorazione di minerali non metalliferi;
– produzione di carta e cartone nel settore della carta;
– produzione di lana nel tessile.
Sono state così definite delle imprese di riferimento che rappresentano i casi base e analizzati i prelievi e consumi di acqua nelle varie fasi dei processi produttivi. Sono state infine mappate le tecniche per accrescere l’efficienza idrica ed energetica e sono stati calcolati i potenziali teorici di risparmio. Le ipotesi sui PayBackTime a cui aspirare sono stati i seguenti:
– 3-4 per gli investimenti nei sistemi di pompaggio;
– 5-6 anni per investimenti negli impianti di trattamento d’acqua;
– 7-8 anni per gli investimenti negli scambiatori di calore.
I costi di approvvigionamento considerati delle acque superficiali e sotterranee (approvvigionamento principale nel settore industriale) e dalla rete idrica sono quelli già descritti in precedenza. «In tutti i sub-settori considerati è possibile raggiungere notevoli risparmi, a condizione che l’acqua abbia un costo sufficientemente elevato di approvvigionamento – ha spiegato il Prof. Giovanni Toletti -. Molte delle tecnologie più efficienti per la gestione dell’acqua sono usate assai raramente proprio a causa del costo troppo basso della materia prima acqua». Allo scopo di valutare il potenziale teorico e raggiungibile di risparmio idrico nell’industria italiana, è stato stimato un potenziale di efficientamento raggiungibile considerando che non tutti gli investimenti teoricamente realizzabili verranno effettivamente attuati, o perché non sempre convenienti, o per le diverse propensioni all’investimento delle imprese. Si è ipotizzato che il 10% delle imprese (denominate green) investirebbero comunque a prescindere dalla convenienza economica e che del 90% restante soltanto il 50% potrebbe decidere di investire e soltanto se l’investimento risultasse conveniente. La figura 11 mostra i risparmi potenziali raggiungibili e teorici per l’acqua (a sinistra) e l’energia (a destra) nei cinque comparti industriali considerati.
Il potenziale raggiungibile di risparmio idrico complessivo è di 120 milioni di metri cubi/anno, su un totale teorico di oltre 216 milioni di metri cubi/anno. In tutti i settori analizzati i risparmi di energia connessa all’utilizzo di acqua sono soprattutto dovuti alla sostituzione di motori nei sistemi di pompaggio con modelli più efficienti. Si possono registrare risparmi che vanno da un minimo di 186.000 kWh/anno nella produzione del PET (complessivo teorico nel range di 300.000- 400.000 kWhe/anno) a un massimo di 1,75 miliardi di kWh/anno nella produzione delle piastrelle in ceramica (complessivo teorico nel range 3-3,5 miliardi di kWh/anno) per un potenziale raggiungibile complessivo di oltre 1,7 miliardi di kWh (complessivo teorico di circa 3,3 miliardi di kWh).
di Roberto Rizzo