Conferenza mondiale sul clima: cosa aspettarsi per gli impianti HVAC?

RCI_11_15_Cop_AperL’obiettivo della 21° Conferenza delle Parti (COP21) di Parigi è quello di poter concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato e condiviso da tutte le nazioni. In particolare è necessario definire come stabilizzare l’aumento della temperatura del pianeta nel limite massimo di 2 °C rispetto all’era preindustriale.

Dato ormai per altamente probabile, se non certo (95%), il riscaldamento globale climatico sta concretamente diventando una minaccia reale per la nostra società e per le nostre economie. La 21° Conferenza di Parigi si pone cosi l’arduo compito di trovare un accordo tra i negoziatori per concludere un trattato vincolante e universale sul clima condiviso da tutte le nazioni del mondo, attraverso una drastica riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, in modo da poter contenere l’aumento di temperatura dovuto il riscaldamento globale entro la soglia critica dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali.

Dopo la conferenza di Lima dello scorso anno (COP20), i due co-presidenti della COP21, l’algerino Ahmed Djoghlaf e lo statunitense Dan Reifsnyder, si presenteranno alla conferenza con una bozza di accordo di venti pagine ancora da completare, ma con l’obbligo per le nazioni aderenti al trattato, di presentare ogni cinque anni piani concreti rivolti al raggiungimento dell’obiettivo finale. Mentre si scrive, i paesi che hanno già presentato i propri piani volontari di riduzione sono 146, che equivalgono a circa l’87% delle emissioni mondiali.

Il rapporto dell’Ocse deve inoltre fare il punto sull’impegno preso dai Paesi sviluppati alla COP15 di Copenaghen nel 2009 di poter mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno, da qui al 2020, per aiutare i Paesi più poveri ad affrontare la sfida dei cambiamenti climatici. Il trasferimento Nord-Sud, finanziario e tecnologico, sarà un dato importante per sostenere la «strategia dei piccoli passi» dei due co-presidenti, come l’ha chiamata Djoghlaf alla presentazione della bozza, che sarà la base del negoziato di questo dicembre.

Riscaldamento globale: i dati ufficiali

 

La fonte principale e più autorevole da cui è possibile estrarre informazioni validate è l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo istituito nel 1988 dalla Organizzazione Mondiale della Meteorologia dell’ONU (WMO) e dal Programma Ambientale dell’ONU (UNEP) con lo scopo di fornire ai decisori politici (Policy Makers) e a tutta la comunità scientifica mondiale una valutazione della letteratura scientifica disponibile sui vari aspetti dei cambiamenti climatici, impatto, adattamento e mitigazione; ciò al fine di comprendere meglio il rischio dei cambiamenti climatici causati dalle attività umane.

L’organismo è suddiviso in tre gruppi specialistici (working groups): le basi scientifiche dei cambiamenti climatici; cambiamento climatico, adattamento e vulnerabilità delle regioni e della società, opere di mitigazione al cambiamento climatico.

L’IPCC è composto da più di 2500 esperti provenienti da oltre 130 paesi ed ha pubblicato ad oggi sul riscaldamento globale 5 report fondamentali nel 1990-1995-2001-2007 e 2013.

L’ultima relazione dell’IPCC, che raccoglie in ordine di tempo i contributi dei “working groups”, risulta il Quinto Rapporto di Valutazione (AR5) pubblicato in diversi volumi tra il 2013-14.

In questa ultima relazione vengono analizzati e valutati i cambiamenti in atto nel nostro pianeta e le relative conseguenze. Vengono altresì valutati i rischi potenziali di questi cambiamenti, messi in correlazione con gli effetti naturali ed economici sull’ambiente e viene soprattutto analizzato il ciclo del carbonio, tra cui l’acidificazione degli oceani, della criosfera e l’aumento del livello dei mari. In questo modo possono essere valutate le incertezze, i rischi e i costi delle necessarie opzioni di mitigazione e adattamento nel quadro di uno sviluppo sostenibile. Una nota: non avendo certezze assolute il rapporto individua in molto probabili, probabili e poco probabili i dati e le proiezioni descritte.

La definizione dell’IPCC di “Cambiamenti Climatici” viene riassunta in una “Variazione significativa statisticamente dello stato medio del clima o della sua variabilità, persistente per un periodo esteso (tipicamente decenni o di più).” In particolare l’IPCC non differenzia se la variazione climatica nel tempo è dovuto alla variabilità naturale o come risultato di attività umane. I cambiamenti climatici possono essere dunque causati da processi interni naturali o forzanti esterni, o da cambiamenti antropogenici persistenti nella composizione dell’atmosfera (definizione IPCC). Questo utilizzo differisce da quello della UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), in cui il cambiamento climatico si riferisce “..a un cambiamento che è direttamente o indirettamente attribuito all’attività umana che altera la composizione dell’atmosfera globale e che è in aggiunta alla naturale variabilità del clima osservata su periodi di tempo comparabili”.

Il Quinto Rapporto di Valutazione (AR5)

 

Nel documento di sintesi (le pagine del rapporto sono migliaia) l’IPCC ha ricondotto a 21 punti propriamente non tecnici, al fine di agevolarne la massima diffusione al pubblico, il quadro complessivo sul riscaldamento globale e sulle sue implicazioni.

Di seguito si elencano le principali conclusioni estratte dal rapporto.

 

I cambiamenti climatici e le loro cause

 

L’Influenza umana sul sistema climatico terrestre è ormai inequivocabile, e le recenti emissioni antropogeniche di gas serra gas sono oggi le più alte nella storia. Dal 1950, molti dei cambiamenti osservati non hanno trovato riscontro nei precedenti decenni dello scorso millennio. L’atmosfera e gli oceani stanno subendo un costante aumento della loro temperatura e del livello (mari), cosi come si riducono le precipitazioni nevose e le aree coperte da ghiaccio.

I recenti cambiamenti climatici stanno avendo un impatto ingente sui sistemi umani e naturali, e in particolare si osserva:

– nell’emisfero Nord, gli ultimi 30 anni (1983-2012) sono stati i più caldi degli ultimi 1400 anni;

– l’aumento complessivo della temperatura superficiale atmosferica (terra e mare) nel periodo  1870-2012 è stato di 0.85 °C;

– sempre nell’emisfero nord, la media delle precipitazioni è in aumento costante dal 1901;

– dall’inizio dell’era industriale, l’assorbimento di CO2 da parte dei mari ha portato l’acidificazione degli oceani; il pH dell’acque superficiali è diminuito di 0,1, corrispondente ad un aumento del 26% di acidità;

– nel periodo 1992-2011 i ghiacci artici e della Groenlandia hanno perso consistenza, ogni decennio, nell’ordine del 3.5-4.1 %;

– il livello globale dei mari nel periodo 1901 -2010 è aumentato di 0.19 m, registrando l’aumento maggiore per secolo degli ultimi 2 millenni. Allo stesso modo la temperatura superficiale dei mari (profondità <75 m) cresce negli ultimi 40 anni di 0,11 °C ogni decennio;

– le concentrazioni globali in atmosfera dei principali gas serra, come l’anidride carbonica e il metano, sono notevolmente aumentate a causa dell’attività umana dal 1750 (anno di riferimento del periodo pre-industriale). La concentrazione globale di CO2 è aumentata da un valore pre-industriale di 280 ppm al valore di 397 ppm nel 2015 (dato aggiornato), quantità che supera i valori massimi degli ultimi 650.000 anni (da 180 a 300 ppm), cosi come determinato dall’analisi delle carote di ghiaccio;

– le attività umane (emissioni di gas-serra, aerosol, ozono troposferico) hanno provocato dal 1750 un riscaldamento climatico, in maniera preminente rispetto a quello provocato dall’attività solare.

Le emissioni di gas serra di origine antropica sono aumentate fin dall’epoca pre-industriale, trainate in gran parte dalla crescita economica e demografica, e ora sono ai massimi livelli di sempre. Questo ha portato nell’atmosfera le concentrazioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto a valori senza precedenti rispetto agli ultimi 800.000. I loro effetti, insieme a quelli di altri inquinatori di origine antropica, sono stati rilevati in tutto il sistema climatico ed è estremamente probabile che sia stata la causa principale del riscaldamento osservato a partire dalla metà del 20° secolo.

I sette gas principali responsabili delle emissioni ad effetto serra definiti dal protocollo di Kyoto.
I sette gas principali responsabili delle emissioni ad effetto serra definiti dal protocollo di Kyoto.

 

Di seguito alcuni dati che riassumono il quadro descritto:

– tra il 1750 e il 2011 l’emissione antropica di CO2 nell’atmosfera è continuamente aumentata ed è complessivamente pari a 2040 ± 310 GtCO2 . Di questo valore, il 40% è rimasto nell’atmosfera, e il restante è stato assorbito dalla terra e degli oceani. Inoltre, almeno la metà delle emissioni di CO2 di origine antropica si sono verificate negl’ultimi 40 anni e i soggetti maggiori responsabili di questo aumento (78%) si individuano nella combustione dei carboni fossili e nei processi industriali.

– le emissioni globali di gas serra nel 2010 hanno raggiunto il valore di 49+4.5 GtHG;

– nel 2013 le emissioni globali di CO2 dovuti ai combustibili fossili (e alla produzione di cemento) è stata di 36 GtCO2; questo valore è maggiore del 61% rispetto all’anno 1990 del Protocollo di Kyoto e del 2.3% più alto del 2012.

Negli ultimi decenni, i cambiamenti climatici hanno causato effetti consistenti sui sistemi naturali e umani in tutti i continenti e attraverso gli oceani.

Molti animali terrestri, di acqua dolce e marini hanno modificato i loro comportamenti e le loro attività migratorie e stagionali.

Cambiamenti di molti eventi meteorologici e climatici, anche estremi, sono stati osservati dal 1950. Alcuni di questi cambiamenti sono stati collegati all’influenza umana, con una aumento delle temperatura estreme, più freddo e caldo, e un aumento dei livelli del mare e del numero di precipitazioni intense e prolungate in alcune regioni.

Con una stima apprezzabile è possibile affermare che in molte aree del pianeta, si sono registrati un aumento del numero di decessi in ragione delle maggiori temperature calde e nel contempo una diminuzione di quelli imputabili alle temperature fredde.

 

Il futuro: cambiamenti climatici, rischi e gli effetti

 

Rispetto al quarto rapporto IPCC le proiezioni climatiche future sono state condotte con un numero maggiore di modelli climatici più realistici. Questi modelli mediante gli scenari illustrati mostrano che mantenendo un trend di emissione di gas-serra al tasso attuale o superiore, comporterà un riscaldamento climatico nel XXI secolo di molto superiore a quello osservato nel XX secolo.

Il protrarsi delle emissioni di gas ad effetto serra provoca dunque un ulteriore riscaldamento e cambiamenti duraturi in tutti le parti del sistema climatico, aumentando la probabilità di forti conseguenze pervasive e irreversibili per le persone, le biodiversità e gli ecosistemi. Per limitare il cambiamento climatico si dovrebbe realizzare una riduzione sostanziale e duratura delle emissioni di gas serra, che insieme con le dinamiche naturali di adattamento, possono limitare i rischi del cambiamento climatico globale.

Comunque le emissioni già accumulate di CO2 determineranno in gran parte l’aumento medio del riscaldamento globale superficiale da oggi alla fine del secolo e oltre. C’è una forte variabilità sulle proiezioni delle emissioni di gas ad effetto serra, a secondo delle politiche di sviluppo perseguibili.

Rimane tuttavia una forte linearità tra l’accumulo delle emissioni di CO2 e la proiezione della temperatura globale nel 2100, segnalando che le emissioni di oggi avranno certamente un effetto maggiore su quelle future.

Andamento delle emissioni di CO2 nel periodo 1990-2012 in Europa. Mediamente i paesi europei nel loro complesso hanno cominciato a diminuire l’emissione di CO2, ma purtroppo a livello mondiale sono comparsi nuovi e più pesanti inquinatori, Cina e India su tutti, oltre agli insensibili (fino ad oggi) Stati Uniti.
Andamento delle emissioni di CO2 nel periodo 1990-2012 in Europa. Mediamente i paesi europei nel loro complesso hanno cominciato a diminuire l’emissione di CO2, ma purtroppo a livello mondiale sono comparsi nuovi e più pesanti inquinatori, Cina e India su tutti, oltre agli insensibili (fino ad oggi) Stati Uniti.

IPCC descrive quattro possibili scenari futuri in funzione del contenimento o meno delle emissioni di gas serra.

Gli scenari previsti variano da quello più rigoroso nelle politiche di mitigazione (RCP2.6) a quello in cui non sia stato posto in essere nessun intervento di riduzione delle emissioni di GHG (RCP8.5). Nel primo caso la possibilità di contenere entro i 2 °C l’aumento di temperatura entro il 2100 rimanendo sotto il valore di 2900 GtCO2 risulta molto probabile (>66%), mentre viceversa nella seconda ipotesi le alte emissioni di GHG potranno causare un aumento di temperatura fino ai +4,8 °C.

Più precisamente l’aumento di temperatura sarà mediamente nel range tra i 0,3 – 0,7° C tra il 2016-2035 rispetto al periodo 1986-2005, questo per tutti i 4 scenari. L’aumento per il periodo 2081-2100 risulta invece compreso tra 0,3 – 1,7 °C per il primo scenario e di 2,6 °C – 4.8 °C per lo scenario più pessimista.

La temperatura della superficie è comunque destinata ad aumentare nel corso del 21° secolo, per ogni scenario, ed è molto probabile che le ondate di calore si verifichino più spesso e durino più a lungo, e che le precipitazioni estreme diventeranno più intense e frequenti in molte regioni. Gli oceani continueranno a riscaldarsi ed acidificare, e il livello medio globale del mare sarà in aumento.

I cambiamenti climatici possono amplificare i rischi esistenti e crearne nuovi per i sistemi naturali e umani. I rischi non sono distribuiti equamente e sono in genere maggiori per le persone svantaggiate e le comunità dei paesi in via di sviluppo.

Molti aspetti del cambiamento climatico e le conseguenze associate continueranno per secoli, anche se le emissioni antropiche di gas ad effetto serra saranno cessate.

 

I percorsi futuri di adattamento, mitigazione e sviluppo sostenibile

 

Le politiche di adattamento e mitigazione sono individuate come le strategie necessarie per la riduzione e la gestione dei rischi del cambiamento climatico. Devono essere quindi messe in campo azioni per una riduzione sostanziale delle emissioni nei prossimi decenni in grado di ridurre i rischi climatici nel 21° secolo e oltre, aumentando le prospettive di un efficace adattamento, una riduzione dei costi, ponendo in essere percorsi di sviluppo sostenibile a lungo termine in contrasto con i cambiamenti climatici.

Va da se che bisogna quindi avanzare un processo decisionale condiviso ed efficace in grado di limitare il cambiamento climatico, riconoscendo la importanza della governance, delle dimensioni etiche, di equità, e delle valutazioni economiche.

Si dà atto comunque che i diversi paesi potranno dare contributi diversificati in funzione delle proprie possibilità e del grado di inquinamento, non conoscendo a priori quel che sarà il migliore mix tra mitigazione, adattamento e danni residuali.

Senza ulteriori sforzi di mitigazione supplementari rispetto a quelli in vigore oggi e di adattamento, il riscaldamento per la fine del 21° secolo porterà a rischi molto elevati di eventi irreversibili e catastrofici a livello planetario. Il solo valore della concentrazioni di CO2 supererà nel 2100 le 1.000 ppm con un possibile aumento di oltre 4° C della temperatura globale rispetto all’era preindustriale. Le conseguenze di questo saranno l’estinzione di diverse specie viventi, una forte perdita di biodiversità, carestie da cibo, eventi metereologici estremi e limitazione dell’attività umane.

Il report sottolinea inoltre la possibilità che l’adattamento naturale sia in grado di ridurre i rischi dell’impatto dei cambiamenti climatici, ma restano comunque dei limiti alla sua efficacia, soprattutto su larga scala e con elevati tassi di cambiamento climatico. In una prospettiva a più lungo termine, nel contesto di uno sviluppo sostenibile, aumentano la probabilità che le azioni più immediate di adattamento possano assicurare migliori opzioni di scelta per le generazioni future.

Esistono comunque percorsi differenti di mitigazione che consentono di limitare il riscaldamento globale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali. Questi percorsi richiederebbero decise riduzioni delle emissioni dei di CO2 e di altri gas ad effetto serra (entro i 450 ppm) già nei prossimi decenni e valori prossimi allo zero entro la fine del secolo. L’implementazione di tali riduzioni pone sfide tecnologiche, economiche, sociali ed istituzionali importanti, che diventano man mano più impegnative se vengono accumulati ritardi nella mitigazione, soprattutto in assenza di nuove tecnologie più ecosostenibili.

 

Adattamento e mitigazione

 

Molte delle opzioni di adattamento e delle opere di mitigazione possono contribuire ad affrontare il cambiamento climatico, ma nessuna singola azione è di per sé sufficiente. L’effettiva attuazione dipende dalle politiche e dalla cooperazione a tutti i livelli e può essere migliorata attraverso risposte integrate che collegano l’adattamento e la mitigazione con altri obiettivi sociali.

Esistono varie soluzioni di adattamento in tutti i settori, ma il loro contesto per l’attuazione e la potenziale riduzione dei rischi legati al clima differisce tra settori e regioni.

Principali settori economici fonti di emissione di gas ad effetto serra.
Principali settori economici fonti di emissione di gas ad effetto serra.

Le opere di mitigazione possono essere più convenienti se viene utilizzato un approccio integrato che combina misure volte a ridurre il consumo di energia e l’intensità di produzione dei gas serra nei settori consumer, operando un approvvigionamento energetico carbon free, e aumentando l’assorbimento di CO2 (i cosiddetti “pozzi di carbonio”).

L’adattamento e l’attenuazione daranno dunque risposte più efficaci in funzione delle politiche a largo respiro: internazionale, regionale, nazionale e locale. Le varie comunità dovranno sostenere lo sviluppo tecnologico, la diffusione e il trasferimento, nonché il finanziamento per le risposte ai cambiamenti climatici, in grado di integrare e migliorare l’efficacia delle politiche che direttamente promuovono l’adattamento e la mitigazione.

Il cambiamento climatico è una minaccia per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, ci sono molte opportunità per collegare le opere di mitigazione, l’adattamento e il perseguimento di altri obiettivi sociali attraverso risposte integrate. Implementazione di successo si basa su strumenti rilevanti, adeguate strutture di governance e una migliore capacità di risposta.

Cosa aspettarsi per il settore HVAC?

 

Va detto che se il problema del riscaldamento globale ha assunto un interesse planetario ed è stato formalmente accettato dalla comunità scientifica internazionale, anche se con diverse e sostanziali eccezioni, pare invece poco approfondito nella sue implicazioni, dirette e non, in special modo nelle dinamiche industriali e produttive, oltreché naturalmente in quelle economiche umano e sociali. Questa semplice constatazione suona ancora più strana in virtù delle complicanze, anche e soprattutto economiche, che le azioni di contrasto inevitabilmente portano dietro di se.

Si potrà dire che già oggi, nella quasi totalità, le aziende propongono prodotti al mercato rispettosi dell’ambiente e del sempre benvenuto concetto della sostenibilità energetica e della filiera produttiva “product green”.

Ma poi realmente cosa succede, o meglio che cosa ci spiegano i recenti rapporti dell’ICPP? Ci spiegano che la produzione di CO2 (il gas maggior responsabile dell’effetto serra) è negli ultimi decenni in continuo drastico aumento, mentre stiamo assistendo ad un impoverimento continuo delle biodiversità e delle aree naturali (foresta amazzonica, ghiacciai, artici, ecc.).

Risulta cosi che gli sforzi messi in campo, oltre a essere asimmetrici – c’è chi fa molto e chi non fa nulla – non stanno al momento dando le risposte auspicate.

Per rimanere al solo settore HVAC, è facile trarre due conclusioni immediate: la prima è che quello che stanno facendo le industrie, le quali ovviamente non sono le sole, e neanche le principali, responsabili del cambiamento climatico, rimane pur sempre un contributo limitato data la vastità del fenomeno, la seconda, non meno importante, è che i costi che queste (le industrie) stanno sostenendo per adempiere ai sempre più stringenti regolamenti di “product green”, non sempre compensati da aumenti di tecnologia e produttività, o vanno necessariamente ad impoverire gli utili aziendali delle società “responsabili” (ma questo non sembra risultare nei bilanci finanziari) o come sembrerebbe più plausibile si scaricano su noi tutti, con la conseguenza di ottenerne un sostanziale impoverimento economico, questo sì che è davvero sotto gli occhi di noi tutti.

Dato comunque per inevitabile questo indirizzo, ora va capito quanto sia intrinsecamente sopportabile dai paesi (giustamente) più sensibili, in un mondo sempre più globalizzato, sottoposto dunque a concorrenze non sempre leali e corrette, ma addirittura ad economie e sistemi sociali che beatamente si disinteressano “globalmente” di tutta la problematica.

 

di Luca Ferrari