Riscaldamento a biomasse

Negli ultimi anni le tecnologie per l’utilizzazione dei combustibili vegetali negli impianti di riscaldamento domestici hanno avuto significativi progressi, conseguendo livelli di efficienza, affidabilità e comfort, del tutto paragonabili a quelli degli impianti tradizionali. Permangono i problemi di compatibilità ambientale.

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È noto che, in ambito energetico, per biomassa si intende qualsiasi sostanza organica derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana.

Mediante questo processo le piante assorbono dall’ambiente circostante anidride carbonica (CO2) e acqua che, con l’apporto dell’energia solare e di sostanze nutrienti presenti nel terreno, vengono trasformate in essenze utili alla crescita delle piante stesse.

La biomassa è una fonte energetica primaria di tipo rinnovabile che, essendo ampiamente disponibile e presente ovunque, deve essere considerata anche una risorsa locale.

La biomassa utilizzabile a fini energetici è rappresentata da tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati direttamente come combustibili, ovvero trasformati in combustibili solidi, liquidi o gassosi.

Delle biomasse fanno quindi parte:

I sottoprodotti delle produzioni erbacee, per il governo dei boschi e per la produzione di legname da opera, delle prime lavorazioni del legno;

Le colture destinate specificamente alla produzione di biocarburanti e biocombustibili;

I reflui zootecnici destinati alla produzione di biogas;

La parte organica dei rifiuti urbani;

I residui in utilizzabili di produzioni destinate all’alimentazione umana o animale (pule dei cereali, canna da zucchero, ecc.).

E’ necessario evidenziare che le biomasse non sono sempre rinnovabili, ma lo sono potenzialmente: se infatti l’approvvigionamento di una utenza o una serie di utenze è assicurata da un continuo disboscamento, non costituisce ovviamente una risorsa rinnovabile.

Se, viceversa, si attrezza una certa area a piantagione colturale in modo che questa fornisca periodicamente la medesima quantità di biomassa consumata nello stesso arco di tempo, allora si ha a che fare con una risorsa rinnovabile.

Utilizzando scarti della lavorazione del legno, oppure sottoprodotti colturali, ramaglie raccolte dalla pulizia e dalla manutenzione dei boschi o reflui zootecnici, non solo si ha a che fare con una risorsa rinnovabile, ma si contribuisce anche al riutilizzo di sottoprodotti e scarti che, nella maggior parte dei casi, sarebbero conferiti in discarica o anche bruciati senza alcun controllo delle emissioni.

In Italia la produzione di energia da biomasse è una realtà consolidata da tempo, anche se il contributo della fonte biogenica alla copertura del fabbisogno energetico nazionale è modesto e rappresenta solo il 3,5%, pur essendo destinato a salire nel breve – medio periodo.

Tale contributo è largamente al di sotto del potenziale disponibile, ed è in gran parte determinato da legna da ardere utilizzata in caminetti e stufe, spesso obsoleti e poco efficienti.

Nonostante la crescente espansione di impianti innovativi per il consumo di biomasse, gli apparecchi più utilizzati nel settore residenziale restano i camini e le stufe tradizionali.

La presenza di caldaie innovative e moderne stufe ad alto rendimento è più accentuata nelle regioni con ampi spazi boschivi e zone montane, in cui la risorsa biomassa è maggiormente disponibile a costi contenuti.

 La conversione termochimica

È opportuno sottolineare che quando si parla di energia da biomasse, la conversione è solo una parte di un processo molto più esteso, denominato filiera energetica, che comprende diversi momenti: l’approvvigionamento, la raccolta, il trasporto e l’utilizzo finale dell’energia.

Allo stato naturale o tal quale, la biomassa è costituita da una frazione umida e da una secca composta essenzialmente da fibra grezza.

La scelta del processo di conversione energetica è determinata dalle proprietà chimico-fisiche della biomassa, in particolare dal rapporto C/N tra il contenuto di carbonio e di azoto e dalla sua umidità.

Le tecnologie più comuni riguardano le biomasse a basso contenuto di umidità: in particolare per le conversioni di tipo termochimico (combustione e gassificazione), risultano appropriate le biomasse con le seguenti peculiarità:

– elevato rapporto tra il contenuto di carbonio e quello di azoto (C/N > 30);

– ridotto contenuto umido (< 30 – 50% sul tal quale);

– minimo potere calorifico inferiore (> 10,05 MJ/kg sulla sostanza secca).

Per le conversioni di tipo termochimico sono quindi ideali la legna ed i suoi derivati (come segatura e trucioli), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligneo-cellulosico (come paglia di cereali, residui di potature, ecc.), e alcuni scarti di lavorazione come lolla, gusci,

I processi termochimici si basano sull’azione del calore, per favorire le reazioni di ossidazione necessarie alla trasformazione delle sostanze in energia. Tra questi la combustione diretta è il più antico e semplice dei processi, che si applica a sostanze con basso contenuto di umidità.

Per conseguire una combustione efficiente, le biomasse vegetali (cippato, residui vegetali), che inizialmente presentano il 60 – 70% di contenuto umido, devono essere portate ad un valore di umidità del 10 – 12%, ottenendo così un prodotto a più alta densità energetica.

La pellettizzazione, ovvero il processo di compressione e spremitura meccanica, consente di ricavare un prodotto con peso specifico più elevato (0,8 kg/dm3) e con umidità compresa tra il 6% ed il 10%.

Per gli impianti di piccola taglia, tipicamente con potenza nominale inferiore a 35 kW e presenti essenzialmente nel settore civile e terziario, la combustione è limitata alle biomasse di origine legnosa (pellet o ciocchi di legna).

La legna in ciocchi è termodinamicamente interessante, avendo un indice EROEI (Energy Return On Energy Investment – Rapporto tra energia disponibile da una fonte ed energia utilizzata nella sua realizzazione) 10:1 nel caso di filiera corta; il principale svantaggio risiede nel fatto che la sua combustione richiede un eccesso d’aria non indifferente, il quale comporta la diminuzione della temperatura di fiamma e quindi un minore rendimento di combustione.

Dopo il grande successo di caldaie e stufe funzionanti a pellet, vi è attualmente un ritorno alquanto accentuato di problemi inerenti la combustione di tale combustibile, tra i quali assume una particolare evidenza la formazione di ceneri e clinker.

Il clinker non è altro che il fenomeno della fusione delle ceneri, ed esiste (in quantità estremamente variabili) in tutti i processi di combustione delle biomasse.

Quando infatti attraverso la combustione si scompone una biomassa, è inevitabile ottenere un residuo solido noto comunemente come cenere, costituita da sostanze inorganiche non combustibili (sali di varia natura, ferro, metalli pesanti, ecc.) assorbite dal terreno attraverso le radici, ed intrecciate tra le fibre organiche (combustibili) come la cellulosa.

Queste ceneri non possono bruciare ma, se sottoposte ad elevate temperature, possono fondere causando il fenomeno della produzione di clinker, una formazione spugnosa simile a pietra lavica, che può solidificare in modo abbastanza compatto e resistente, formando vere e proprie ostruzioni sulle condotte dell’aria di combustione, compromettendo la funzionalità e l’affidabilità dell’apparecchio.

La circostanza è accentuata da pellet prodotto a partire da cippato o da alberi interi non decortecciati che, determinando ceneri abbondanti con alto contenuto di silicio ed un basso punto di fusione, necessitano di meccanismi automatici di evacuazione delle stesse, al fine di contenere la formazione del clinker.

Nei piccoli impianti domestici la qualità della combustione e le caratteristiche delle emissioni, sono fortemente influenzate dal tipo di apparecchio utilizzato:

Caminetto aperto

Caminetto di tipo aperto, ovvero con il focolare a diretto contatto con l’ambiente. A tutt’oggi sono ancora spesso utilizzati essenzialmente per il valore estetico. Il rendimento raramente supera il 20%.
Caminetto di tipo aperto, ovvero con il focolare a diretto contatto con l’ambiente. A tutt’oggi sono ancora spesso utilizzati essenzialmente per il valore estetico. Il rendimento raramente supera il 20%.

Consiste in una camera di combustione, dotata di una larga apertura per l’accesso al letto di combustione e direttamente connessa al camino. L’energia termica viene trasmessa ai locali essenzialmente per radiazione. Necessita di un elevato eccesso d’aria che, attraverso il camino, espelle buona parte del calore prodotto dalla combustione; quest’ultima è caratterizzata quindi da bassa efficienza (mediamente 10 – 15%) ed elevate emissioni di sostanze incombuste.

Caminetto chiuso

Sono apparecchi installati come strutture a sé stanti oppure collocate all’interno di un camino aperto esistente, e dotati di porte frontali che,   riducendo l’afflusso dell’aria, determinano un aumento della temperatura di combustione e dell’efficienza termica. Sono altresì dotati di dispositivi per la regolazione dell’aria che, nei modelli più recenti, sono del tutto o parzialmente automatici. Rispetto ai caminetti aperti offrono diversi vantaggi, tra cui un miglior rendimento (fino al 75 – 80%) ed una maggiore autonomia.

Stufe a legna

Moderna stufa a legna. Potenza termica nominale 8,5 kW. Rendimento 81%. (Emmeti Stufe).
Moderna stufa a legna. Potenza termica nominale 8,5 kW. Rendimento 81%. (Emmeti Stufe).

Sono apparecchi a focolare chiuso che, a differenza dei camini, possiedono una superficie per lo scambio termico, il quale avviene sia per radiazione che per convezione.

Nelle stufe moderne la camera di combustione prevede diversi ingressi d’aria, in modo da realizzare una combustione più completa dei gas prodotti nella prima fase della combustione della legna. Tale assetto consente a questi apparecchi di diminuire sensibilmente le emissioni inquinanti rispetto alle stufe tradizionali, conseguendo rendimenti oltre il 70% e fino all’80%.

Stufe a pellet

È un prodotto simile alla stufa a legna, ma con regime di funzionamento a tiraggio forzato. Sono apparecchi la cui efficienza è compresa tra 85% e 90%, in quanto la piccola pezzatura ed omogeneità del combustibile, consente l’applicazione di sistemi di alimentazione e regolazione automatici. È una delle tecnologie per le quali si sono raggiunti tra i migliori standard per le emissioni, a patto di utilizzare pellet di qualità certificata.

Caldaie a legna

Innovativa caldaia a legna, con regolazione automatica dell’aria primaria, di quella secondaria e di quella per l’accensione. Vano di carico per ciocchi lunghi fino a 56 cm. Sportelli dei vani di carico e di pulizia raffreddati ad acqua. Gamma potenza nominale 15 – 20 kW. Rendimento nominale 92,5% (Fröling).
Innovativa caldaia a legna, con regolazione automatica dell’aria primaria, di quella secondaria e di quella per l’accensione. Vano di carico per ciocchi lunghi fino a 56 cm. Sportelli dei vani di carico e di pulizia raffreddati ad acqua. Gamma potenza nominale 15 – 20 kW. Rendimento nominale 92,5% (Fröling).

In questo settore le caldaie a combustione inversa a tiraggio forzato per aspirazione, rappresentano i dispositivi più innovativi sul piano tecnologico.

Il principio di funzionamento è alquanto noto: al di sotto del braciere un ventilatore crea una depressione, in modo da richiamare i gas di combustione in una seconda camera, nella quale completano la reazione di ossidazione.

La regolazione elettronica di cui è dotato il ventilatore, consente di modulare in modo preciso l’apporto di aria primaria (normalmente preriscaldata) e secondaria nelle camere di combustione.

Grazie ai dispositivi con cui sono equipaggiate, queste caldaie sono in grado di mantenere condizioni ottimizzate di funzionamento per qualsiasi regime di esercizio, conseguendo rendimenti complessivi anche superiori al 90%.

Soprattutto per la necessità di effettuare manualmente il caricamento della legna, tali apparecchi hanno potenze limitate, per cui trovano utile impiego nel riscaldamento di case isolate comprendenti singoli o pochi appartamenti.

Caldaie a pellet

Caldaia a pellet compatta automatica. Potenza nominale 18 – 48 kW. Rendimento max. 95%. Estrazione automatica della cenere in apposito contenitore mobile. Stiva pellet laterale per il fabbisogno settimanale (Viessmann).
Caldaia a pellet compatta automatica. Potenza nominale 18 – 48 kW. Rendimento max. 95%. Estrazione automatica della cenere in apposito contenitore mobile. Stiva pellet laterale per il fabbisogno settimanale (Viessmann).

Disponibili per potenze che partono da pochi kW ad oltre 300 kW, le caldaie a pellet stanno conquistando crescenti fette di mercato in virtù degli alti rendimenti (spesso superiori al 90%) e della semplicità di impiego. Rispetto alle caldaie a legna, infatti, presentano il vantaggio della completa automazione del sistema di carica del combustibile, che può essere stoccato in apposito serbatoio, in un silo, o addirittura in un magazzino dedicato.

Per caldaie di piccola taglia è sufficiente il serbatoio con capacità di poche centinaia di litri normalmente a corredo delle stesse, che permette un’autonomia di funzionamento di qualche giorno.

I sistemi di controllo e regolazione automatici che sono ordinariamente in dotazione a questi apparecchi, consentono di contenere le emissioni di particolato e di ossidi di azoto.

I vantaggi nell’uso delle biomasse

Come già accennato, l’impiego della biomassa a scopo energetico è uno degli strumenti indicati come favorevoli alla riduzione dell’effetto serra: il bilancio della CO2 relativo a tale filiera è considerato neutro, in quanto le emissioni di anidride carbonica prodotte dall’utilizzo delle biomasse, sono compensate dalla medesima quantità di anidride assorbita attraverso la fotosintesi, durante la crescita della biomassa stessa.

In realtà la neutralità rispetto al bilancio della CO2 risulta vera sia nel caso delle colture dedicate che nel caso di altre colture, solo qualora venga ricostituito il quantitativo di risorsa utilizzata; devono poi essere considerate le emissioni di CO2 equivalenti derivate dal trasporto e dalle altre attività correlate alla produzione della biomassa, nonché allo smaltimento dei residui dai processi di conversione.

Congiuntamente alla situazione favorevole nei riguardi dell’effetto serra, è opportuno evidenziare anche le emissioni evitate di tutti quegli inquinanti tipici di alcuni combustibili fossili come SO2, CO, benzene.

Non contribuendo ad aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera, in ogni caso questa risorsa ha un indubbio vantaggio rispetto ai combustibili fossili che, rilasciando anidride carbonica assorbita nel corso di milioni di anni, di fatto ne emettono di nuova.

Infine i costi ridotti delle biomasse rispetto ai combustibili tradizionali sono in gran parte determinati dal regime fiscale a cui le stesse sono sottoposte, che, per il momento, non prevedono ancora le pesanti accise che gravano sui combustibili fossili.

Le emissioni

Come avviene in tutti i processi di combustione, anche nel corso della conversione energetica delle biomasse si producono delle emissioni che vanno in atmosfera.

Nonostante il progresso tecnologico nella produzione di stufe e caldaie a biomassa solida, la combustione di quest’ultima continua ad avere un impatto ambientale negativo, rappresentato dall’emissione di materiale particolato fine e di aromatici incombusti.

In particolare gli apparecchi a legna anche più efficienti, specie se alimentati a ciocchi, hanno emissioni alquanto superiori a quelle dei tradizionali combustibili fossili (gas metano e gasolio), sia per polveri fini (PM10 e PM2,5) che per i composti organici volatili non metanici e per il monossido di carbonio.

Mentre negli impianti di media e grande taglia il processo avviene in modo controllato e con l’utilizzo di tecnologie di depurazione dei fumi, i piccoli impianti domestici risultano fonti di emissione spesso del tutto incontrollate. Inoltre, in questi apparecchi sono spesso bruciati anche materiali inopportuni come carta, legno trattato, ecc., che determinano un aggravamento delle emissioni di inquinanti tossici.

Per ottenere un elevato rendimento ed un basso livello di emissioni nocive, la tecnica costruttiva degli apparecchi di combustione per biomasse deve tenere in considerazione le seguenti peculiarità:

– fornire un adeguato eccesso d’aria;

– consentire un opportuno tempo di permanenza nella zona di reazione alla miscela gas combustibili-aria comburente;

– conseguire livelli termici elevati;

– garantire una efficace mescolanza dei gas combustibili con l’aria comburente, attraverso una turbolenza sostenuta.

Questi requisiti tecnico-costruttivi sono noti come Regola delle 3 T (Tempo – Temperatura – Turbolenza), che indica in modo sintetico i principi dell’ottimizzazione: se i loro valori non sono ottimali, o in assenza di un adeguato eccesso d’aria, si ha l’emissione di sostanze incombuste, in particolare monossido di carbonio CO, composti organici volatili COV, fuliggine.

Specie nei combustibili solidi la combustione completa è alquanto difficoltosa, in quanto la natura stessa di tali sostanze genera situazioni di disomogeneità, con la creazione di aree a locale carenza di ossigeno o ad insufficiente temperatura.

Le fasi di accensione ed il funzionamento a basso carico risultano alquanto critiche per l’emissione di sostanze incombuste, a causa della bassa temperatura in camera di combustione. Ugualmente, la fase finale della combustione è associata ad alte emissioni di particolato e monossido di carbonio.

Vari studi confermano che la composizione dei fumi varia con le fasi del processo di combustione.

Ad ogni aggiunta di combustibile solido nella camera di combustione, la proporzione di CO e di particelle fini nei fumi aumenta vertiginosamente, diminuendo poi man mano che la combustione procede fino all’aggiunta di nuovo combustibile solido.

Anche la composizione chimica del particellato varia nel corso del processo di combustione, distinguendosi fino a cinque diverse varietà di molecole, tra le quali assumono particolare evidenza per i danni ambientali ed alla salute, quelle che caratterizzano i composti aromatici e gli idrocarburi policiclici aromatici.

La presenza di un serbatoio – puffer è particolarmente utile negli impianti che utilizzano biomasse in quanto, disaccoppiando la richiesta dell’utenza, spesso bassa ed intermittente dalle condizioni di funzionamento della caldaia, ne consente un esercizio più continuo e stabile.

Le emissioni nocive degli apparecchi a biomasse si riassumono quindi in: monossido di carbonio CO; composti organici volatili COV, CnHm; polveri totali; polveri sottili; ossidi di azoto.

Uno degli aspetti più negativi associato all’utilizzo delle biomasse su piccola scala, riguarda l’emissione di polveri sottili e di incombusti.

Con il termine di polveri sottili (PM) sono indicate tutte le particelle con un diametro aerodinamico equivalente inferiore a 10 μm; al di sotto di 1 μm inizia il cosiddetto campo dimensionale submicron.

Per la salute umana sono significative soprattutto le particelle che riescono a penetrare nel sistema respiratorio: mentre le particelle con diametro superiore a 10 μm sono trattenute quasi completamente nel naso e nella gola, gran parte di quelle con diametro inferiore a 2,5 μm entra nei polmoni e, al di sotto di 1 μm, entrando negli alveoli e depositandosi nei tessuti polmonari, possono accumularsi nel sangue e raggiungere varie parti dell’organismo umano.

Se i danni determinati dalle polveri sottili PM10 sono circoscritti al sistema respiratorio, quelli conseguenti alle polveri sottili PM2,5 possono interessare anche altri tessuti.

Coniugare economia ed ecologia

Nel corso degli ultimi anni, il consumo di biomasse ai fini del riscaldamento domestico ha assunto un ruolo tutt’altro che marginale. Complice la crisi economica ed il basso costo delle biomasse rispetto ai prezzi crescenti del gas metano, le abitudini degli italiani si sono rapidamente modificate, determinando una rapida diffusione di legna e pellet anche in aree di pianura ed aree urbane, come fonte primaria per il riscaldamento ambientale.

Considerando l’entità delle emissioni connesse alla combustione domestica delle biomasse, che nel periodo invernale possono costituire oltre il 60% delle emissioni primarie complessive di polveri sottili (inventari Inemar area padana), appare necessario definire azioni specifiche per limitare l’impatto sulla qualità dell’aria.

Limitarne l’impiego associandolo all’entità della filiera locale, così come la divulgazione di metodi di utilizzo in grado di accompagnare gli utenti verso forme più efficienti di combustione, sono azioni che possono attivare un significativo percorso di riduzione delle emissioni provenienti dall’utilizzo delle biomasse nel riscaldamento domestico, anche oltre l’80% rispetto alla situazione attuale.

Anche se bruciare correttamente le biomasse non è facile, esistono diversi accorgimenti e norme comportamentali che, se costantemente osservati, aiutano a mantenere efficiente l’impianto ed a contenere le emissioni.

Progetto

In via primaria è necessario considerare tutti gli apparecchi alimentati a biomasse come facenti parte di un impianto termico, per cui corre l’obbligo di una progettazione che, a seconda dei casi potrà riguardare un assetto completo (dalla caldaia, ai circuiti, ai corpi scaldanti), o comunque gli aspetti di efficienza e sicurezza relativi al posizionamento del manufatto, corretto dimensionamento dello stesso, della canna fumaria e delle prese d’aria.

Scelta apparecchi

Il marchio CE è praticamente una dichiarazione di conformità dei produttori rispetto ad una serie di norme che riguardano la sicurezza, le prestazioni, e le istruzioni che devono accompagnare il prodotto.

Per dare il necessario valore alla sicurezza ed alla convenienza dell’investimento, oltre ad indirizzare l’utente verso prodotti di ultima generazione, a garanzia delle caratteristiche di massima efficienza e ridotte emissioni in atmosfera possibili per i dispositivi da acquisire, è indispensabile quindi che gli stessi siano anche marcati CE,

Installazione

Sono diverse le Regioni italiane che hanno emanato o stanno comunque predisponendo, precise disposizioni relative all’impiego delle biomasse per uso domestico, al fine di limitarne l’impatto ambientale.

In Lombardia, ad esempio, da agosto 2014 i generatori di calore a biomasse inseriti o meno in impianti termici, oltre ad essere censiti nel catasto regionale degli impianti, possono essere installati solo da soggetti certificati, nel rispetto del D.M. 37/2008 e della norma tecnica UNI EN 10683:2012 “Generatori di calore alimentati a legna o altri biocombustibili solidi – Requisiti di installazione”.

Secondo quest’ultima norma, l’installazione di un impianto e la verifica del corretto esercizio sono soggette ad una precisa sequenza di operazioni, che iniziano con il riscontro dell’idoneità del locale destinato ad accogliere il generatore di calore, del sistema di evacuazione fumi e delle prese d’aria esterna.

Segue l’installazione vera e propria con la realizzazione della ventilazione, il collegamento alle prese di aria esterne ed al sistema di evacuazione fumi, il montaggio e la posa in opera, nonché l’esecuzione della prova di accensione e di funzionalità.

Al termine di tali interventi, l’installatore dovrà rilasciare le dichiarazioni di conformità riferite ai vari componenti dell’impianto, compreso il sistema di evacuazione dei prodotti di combustione.

Combustibile

L’efficienza di un impianto termico che utilizza biomasse, non si garantisce soltanto con un’installazione a regola d’arte: la qualità del combustibile assume un ruolo fondamentale.

Ogni costruttore infatti dichiara e garantisce le prestazioni dell’apparecchio fornito, solo in corrispondenza di determinati parametri fisici e chimici della biomassa impiegata.

In linea generale, efficienza ed emissioni delle essenze legnose dipendono dalla pezzatura e dalla sua umidità.

Tanto maggiore è la congruenza e l’uniformità delle dimensioni consigliate dal costruttore per la biomassa da utilizzare, e tanto migliori saranno le circostanze in cui si sviluppa la combustione.

La legna con umidità ridotta intorno al 20% corrisponde ad una stagionatura di circa due anni; in tali condizioni è in grado di fornire potenzialmente 10 kWh ogni 2,5 kg bruciati, ovvero la stessa energia che è prodotta dalla combustione di 1 mc di metano, oppure 1 litro di gasolio.

Con una umidità del 50%, per produrre la medesima quantità di energia ne sarebbero necessari 4,5 kg.

Quando la legna è troppo umida, la combustione è imperfetta, si genera meno calore e si producono più polveri e fuliggine.

Infine, onde evitare l’emissione di sostanze tossiche, la legna non deve essere trattata né provenire da dismissione di mobili, bancali, ecc.

Negli impianti domestici va utilizzata quindi solo legna vergine, ben secca e di dimensioni contenute (inferiori generalmente a 40 cm di lunghezza e 15 cm di spessore), o cippato o pellet di qualità certificata.

Manutenzione

Ultimo, ma non per questo meno importante fattore per risparmiare energia, è la costante pulizia degli apparecchi, dei canali da fumo e dei camini asserviti ad un impianto che utilizza biomasse.

Apparecchi e camini sporchi peggiorano la combustione, aumentano il consumo di combustibile e l’emissione di polveri, espongono gli edifici a potenziali rischi di incendio.

Da rilievi sperimentali è emerso che tre millimetri di fuliggine riducono il tiraggio della canna fumaria del 16%, modificando sensibilmente l’efficienza del sistema.

Inutile rammentare che le attività di controllo, manutenzione e verifica dell’efficienza dei generatori di calore a biomassa legnosa e del sistema di evacuazione dei prodotti di combustione, devono essere eseguiti da soggetti abilitati ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera c), del D.M. 37/2008.

 

di Giacomino Redondi

 

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