La drastica riduzione dei consumi energetici e la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, con la conseguente necessità di un approccio integrato alle relative problematiche tecniche, è una strada ormai intrapresa con decisione in tutta Europa come nel nostro paese.
Oggi siamo già in grado di realizzare involucri edilizi che, anche nel caso di costruzioni molto complesse, possono vantare indici di dispersione termica molto contenuti, ovvero che hanno bisogno di ricevere bassissime quantità di energia. A valle di queste prestazioni, la prospettiva è senz’altro quella della progressiva sostituzione dei dispositivi basati sull’utilizzo di combustibili fossili con quelli alimentati da sistemi a fonte rinnovabile, secondo mix differenti (solare fotovoltaico, cogenerazione da biomasse, pompe di calore, ecc.).
Parallelamente – e paradossalmente – nel progetto di questi edifici già molto efficienti, sembra essere aumentato anche il grado di complessità dei sistemi impiantistici, previsti ai soli fini della riduzione del fabbisogno energetico. In molte di queste realizzazioni, la ricerca della massima compatibilità ambientale assume l’aspetto di un vero e proprio “accanimento terapeutico”. A mio parere, invece, gli impianti di un edificio ottimizzato, non devono essere più importanti dell’edificio.
In effetti, fatta eccezione per alcune tipologie edilizie peculiari, nella restante gran parte dei casi un dispositivo convenzionale – ad esempio una semplice caldaia a condensazione dalla potenza minima, che in determinate condizioni climatiche può essere ancora necessaria per integrare i sistemi a fonti rinnovabili – è in grado di dare risposta alla domanda termica residua senza per questo inficiare – spesso si tratta di percentuali trascurabili – i risultati complessivi di sostenibilità del costruito.
In pratica: se nel periodo invernale ho la necessità di fornire poche “calorie” a un edificio, probabilmente non esiste una reale necessità di ricorrere a sistemi troppo complicati rispetto all’obiettivo. Piuttosto, è opportuno valutare con attenzione se un involucro estremamente performante in termini di isolamento termico non possa provocare problemi di comfort in regime estivo e, anche, nei periodi di transizione stagionale, specie in presenza di consistenti carichi interni.
Le scelte tecnologiche e, soprattutto, quelle legate al risparmio energetico, devono essere inserite all’interno di un percorso integrato che non deve trascurare nulla, a cominciare dalla soluzioni apparenterete più semplici. Recentemente mi è capitato di dimostrare come, in un edificio pubblico, la semplice sostituzione delle sorgenti luminose – già del tipo a fluorescenza, con potenza unitaria 36 Watt – con altre solo leggermente più efficienti – 32 Watt – potesse consentire un risparmio energetico pari alla produzione di un impianto fotovoltaico da 10 kW picco. L’impianto in questione non è stato realizzato e, se mai lo sarà, servirà ad altro.
Sul fronte termico, non sono rari i casi di edifici talmente ben coibentati da aver bisogno di un impianto di condizionamento invernale. Sarebbero forse bastati un paio di centimetri in meno di strato isolante e un buon sistema di ventilazione, per evitare di consumare energia inutilmente…