Professore ordinario di Fisica Tecnica Ambientale presso l’Università di Roma “La Sapienza”, Livio de Santoli è energy manager e coordinatore del Servizio Ateneo per l’Energia, nonché Direttore del Centro di Ricerca Citera (Territorio, Edilizia, Restauro e Ambiente). Presidente eletto Aicarr per il triennio 2013/16, ha ricoperto diverse cariche in ambito istituzionale (Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici; Commissione del Ministero dello Sviluppo Economico per la valutazione delle proposte sull’efficienza energetica di “Industria 2015”; Commissione Tecnico Amministrativa del Provveditorato alle Opere Pubbliche del Lazio; Gruppo di Lavoro Nazionale per le Linee Guida sull’Efficienza Energetica per il Patrimonio Culturale, Ministero dei Beni Culturali), accademico (Preside della Facoltà di Architettura Valle Giulia 2009/10; presidente del Corso di Laurea “Project Management – Gestione del Processo Edilizio”; direttore del master “Gestione Immobiliare Integrata-Global Service MGS”; coordinatore del dottorato di ricerca “Risparmio Energetico e Microcogenerazione Distribuita”; docente di “Impianti tecnici negli Edifici Storici” nella Scuola di specializzazione in Restauro dei Monumenti) e associativo (membro del Consiglio Direttivo di ISES-Italia e del Consiglio Direttivo di Uni-Cti). In ambito professionale, fra l’altro, è consulente per l’energia della Camera dei Deputati ed energy manager dell’Anagrafe Tributaria. Autore di circa 150 pubblicazioni, è membro dello International Advisory Board di “Building Services Engineering Research & Technology” e lo è stato dello Scientific Editorial Board di “Energy & Buildings”. Ha redatto il “Piano Azione Energia Sostenibile di Roma Capitale 2011” e il “Manifesto socio-culturale TerritorioZero 2013”. Fra i numerosi premi ricevuti si distingue il Rehva Science Award 2009 e l’European Solar Prize 2008. Attualmente è stato inserito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel gruppo di redazione del documento: Environmental Sustainable Health Systems, e dal Ministero dei BB.CC. nel gruppo di lavoro per la predisposizione delle Linee Guida per l’Efficienza Energetica del Patrimonio Culturale.
Protagonista dell’energetica e della termotecnica nazionale e internazionale, Livio de Santoli ha intrapreso la carriera professionale trentadue anni fa, subito dopo la laurea in ingegneria meccanica, continuando parallelamente il proprio percorso accademico.
«Per essere insegnate al meglio, le discipline afferenti la nostra professione necessitano di una solida esperienza operativa, che permetta di superare i limiti dell’apprendimento teorico: è un settore nel quale la pratica è senz’altro maestra. Personalmente ho sempre cercato di mantenere fede a questa regola, anche se gli impegni imposti dalla docenza mi hanno portato a dedicarmi prevalentemente ad attività di consulenza».
Da un punto di vista privilegiato, qual è quello del mondo universitario, come ha vissuto la progressiva affermazione di una visione sempre più incentrata sui temi e i problemi dell’energia?
«Si è trattato di un percorso lento e discontinuo, iniziato negli anni Settanta e che aveva conosciuto una fase di notevole sviluppo grazie al “Progetto Finalizzato Energetica”, che per la prima volta ha affrontato in modo integrato un insieme di tematiche teoriche, tecnologiche, socio-economiche, normative e ambientali. Da allora, purtroppo, abbiamo assistito a un periodo di inerzia, caratterizzato da iniziative e provvedimenti frammentari e incoerenti, del quale stiamo pagando le conseguenze proprio in questi anni. Da una decina d’anni ho iniziato a occuparmi dei problemi energetici dell’Università La Sapienza, un’esperienza estremamente interessante costruita passo dopo passo superando numerose difficoltà, che mi ha fatto capire come l’aspetto più penalizzante per le politiche energetiche del nostro paese sia l’assenza di una visione strategica e della conseguente attività di pianificazione. Il caso recente della tentata ri-apertura verso l’energia nucleare – fondata su una presunta domanda insoddisfatta quando invece, oggi, sappiamo che esiste un surplus nell’offerta di elettricità – è emblematico di quanto l’Italia abbia un disperato bisogno di pianificazione in questo settore. Questi e altri argomenti sono stati sviluppati in due testi divulgativi – “Le Comunità dell’Energia” e “TerritorioZero ” – nei quali viene presentato sia un nuovo modello energetico – radicalmente diverso rispetto al paradigma del consumo della civiltà tardo-industriale – che è anche un innovativo modello economico e sociale, basato sulla conoscenza e sulla partecipazione diretta da parte dei cittadini».
Come potrebbe realizzarsi questa visione?
«Attraverso l’affermazione di una leadership – che oggi non c’è – capace di individuare obiettivi, strategie e azioni. Personalmente sono favorevole alla massima decentralizzazione possibile, l’unica strada percorribile per affrancare il nostro paese dalla dipendenza energetica dall’estero. Allo stesso tempo, in uno scenario di devoluzione delle capacità decisionali agli enti territoriali, ritengo che lo Stato debba essere più autorevole e propositivo di quanto è attualmente, in modo da stimolare le Regioni a intraprendere politiche coerenti con le esigenze delle comunità locali, all’interno di un quadro d’azione unitario e condiviso. mQuesto significa anche che alcuni degli interessi consolidati, che oggi orientano pesantemente il quadro politico e normativo in materia – la recente Strategia Energetica Nazionale ne è una chiara dimostrazione – potrebbero essere comunque tenuti in considerazione, ma all’interno di un modello differente che, nei fatti, si sta già affermando a livello globale attraverso la diffusione delle energie rinnovabili e della generazione distribuita dell’energia. Si tratta di un processo che richiede tempi lunghi ma che, soprattutto in questo periodo di crisi non solo economica, offre già ora importanti opportunità ai nostri territori. Il semplice fatto che le fonti rinnovabili producano oggi il 30% dell’energia elettrica consumata in Italia impone una riflessione seria su quale vogliamo che sia il nostro futuro – e non solo energetico».
Qual è il potenziale di innovazione del nostro paese?
«Immenso e, purtroppo, in grandissima parte poco valorizzato. La rivoluzione energetica non consiste solo in qualche tetto fotovoltaico o in qualche pala eolica, coinvolge invece l’intero sistema produttivo – non solo l’industria ma anche l’agricoltura, il commercio, le telecomunicazioni, perciò i nostri territori e la loro competitività. Questo significa, ad esempio, affrontare con serietà e lungimiranza il tema delle modalità dell’accumulo energetico. Si può utilizzare la rete, con tutto quello che questa scelta comporta rispetto all’attuale assetto della produzione dell’energia, oppure puntare su tecnologie innovative molto promettenti come lo stoccaggio in forma di idrogeno e di aria compressa, nei bacini idraulici o mediante batterie elettrochimiche. Significa proteggere le nostre aziende della climatizzazione in un contesto che è tipicamente mediterraneo e che quindi ha bisogno dell’Italia per definire strategie e procedure. Significa anche dare soluzioni al tema della mobilità sostenibile, che non è solo auto elettrica, e che interessa direttamente non solo la qualità della vita di milioni di cittadini, ma che potrebbe costituire un importantissimo vettore di innovazione nel settore industriale. In ultima istanza, significa ripensare a modalità più efficienti e intelligenti di gestione delle reti, che mettano in relazione diversi dispositivi di produzione, accumulo, consumo e controllo, all’interno e fra vari bacini territoriali, con l’obiettivo di valorizzare tutte queste potenzialità. Non sarà facile, ma abbiamo due validi motivi per provarci. L’investimento nell’energia, se ben eseguito, è conveniente e si ripaga in pochi anni. Inoltre abbiamo un obbligo etico nei confronti delle prossime generazioni: assicurare loro un mondo sostenibile anche dal punto di vista ambientale».
In questa prospettiva, qual è il più probabile futuro delle professione dell’ingegnere termomeccanico?
«La progettazione si è già avviata nella direzione di una crescente integrazione interdisciplinare che oggi, quando si verifica, coinvolge ancora solo alcune delle figure professionali interessate, penso ad esempio al processo edilizio. Esistono però altri ambiti specialistici che diventeranno sempre più importanti. Qualche decennio fa nacque la professione del progettista degli impianti. Oggi stanno crescendo i certificatori energetici, gli energy manager e gli specialisti in economia delle risorse, in gestione ambientale. Domani avremo ingegneri ambientali esperti, ad esempio, nel ciclo dei rifiuti, oppure gli agronomi esperti in agricoltura urbana. Tutte queste professioni, esistenti e potenziali, dovranno muoversi e progredire contestualmente: non sarà più possibile, come è stato fino ad oggi, sviluppare solo alcune discipline tralasciando tutto il resto. Per questi motivi è necessario uno sforzo di apertura da parte delle professioni oggi consolidate, prima fra tutte quella dei termotecnici, che sarà sempre più al centro dei processi di trasformazione sociale e urbana».
a cura di Livia Giannellini