Ingegnere: libero e professionista

Bolognese d.o.c., classe 1969, Gabriele Raffellini dirige il suo studio di ingegneria puntando sulla qualità delle prestazioni professionali
Laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1996 con una tesi sugli aspetti elettrici degli impianti di cogenerazione, Gabriele Raffellini ha partecipato a un breve stage presso la Technology and Science Division della società inglese National Grid Company. Dopo alcune collaborazioni professionali presso studi tecnici bolognesi, ha progressivamente assunto il ruolo di progettista in ambito elettrico e termomeccanico presso lo studio paterno, perfezionando poi le proprie competenze nel settore dell’acustica. Professore a contratto presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze nel triennio 2004-2007, ha compiuto diverse esperienze come docente in master universitari, in corsi di perfezionamento post-laurea sul tema dell’architettura sostenibile e in corsi sulla certificazione energetica degli edifici e sull’asset and facility management. Dal 2008 è Delegato territoriale Aicarr per l’Emilia Romagna e, dal 2011, è membro del Consiglio nazionale dell’associazione, per conto della quale ha organizzato numerosi convegni a carattere tecnico-scientifico, curando anche le relative pubblicazioni.

Per Gabriele Raffellini, l’interesse verso le discipline tecniche è una questione strettamente personale: «Sono sempre stato particolarmente portato verso la matematica e la fisica. La professione di mio padre, docente in Fisica tecnica all’Università di Firenze, ha avuto il suo peso nella scelta dei miei studi, ma quando si trattò di decidere scelsi di intraprendere il corso di ingegneria elettrotecnica che, allora, garantiva un altissimo livello di occupazione ai neolaureati – e fortunatamente è ancora così, almeno rispetto ad altre professioni. Se devo essere sincero, ai tempi accarezzai anche l’idea di studiare per diventare notaio: ogni tanto ci penso e mi chiedo perché non l’ho fatto…».

Qual è stata la prima esperienza professionale?

«Appena laureato andai in Gran Bretagna per tre mesi, presso il laboratorio di ricerca e sviluppo della società che gestisce le reti elettriche inglesi. Fu un periodo breve ma intenso, durante il quale ebbi i primi approcci con i temi dell’acustica applicata. Mi piacque molto il pragmatismo dei miei colleghi inglesi, il cui approccio era estremamente pratico e vicino alla realtà rispetto agli insegnamenti, prevalentemente teorici, che avevo compiuto all’università. Ricordo di aver visto, per la prima volta, l’applicazione del calcolo integrale alla risoluzione di un problema concreto…».

E al ritorno in Italia?

«Dopo alcune esperienze presso altri studi professionali, mio padre iniziò ad affidarmi alcune collaborazioni, sempre più complesse, e gradualmente lo affiancai nella conduzione dello studio. In quel periodo mi sono anche occupato della progressiva introduzione dei sistemi informatici nella progettazione, che hanno radicalmente trasformato le modalità progettuali e operative rispetto a prima, rendendo il progetto un vero e proprio “work in progress”».

Qual è la principale differenza ?

«Una volta il progetto veniva sviluppato fino a un livello che, attualmente, potremmo definire “preliminare”, lasciando perciò molto spazio al confronto con l’impresa. Oggi, anche per effetto di normative più precise e rigide, il progetto dev’essere completo e approfondito in ogni sua parte perché le imprese, in generale, si limitano a eseguire quanto previsto dal progetto. Ciò nonostante, quest’ultimo dev’essere sempre aperto a eventuali modifiche, anche in fase di direzione dei lavori. Oggi probabilmente lavoriamo meglio, ma lavoriamo di più e, sebbene alcuni ambiti siano diventati particolarmente importanti – ad esempio, la sicurezza e il risparmio energetico – siamo pagati meno rispetto a solo qualche anno fa».

Quanto incidono sul progetto gli aspetti legati al contenimento dei consumi energetici?

«Oggi incidono in modo decisivo, ma personalmente ritengo che molte aspettative al riguardo siano state vanificate dalla realtà dei fatti. Mi riferisco ad esempio alla certificazione energetica che, nell’arco di pochi anni, si è trasformata da attività promettente in un vero e proprio adempimento burocratico, che lascia pochissimo spazio alla soddisfazione professionale. Sebbene la gamma delle soluzioni per il risparmio energetico nell’edilizia residenziale siano ormai consolidate, esistono comunque interessanti ambiti di approfondimento ad esempio nei settori del terziario, in particolare negli edifici a funzionamento intermittente o caratterizzati da forti fluttuazioni dei carichi».

La produzione del calore per il futuro Polo scolastico del comune di Lido Adriano sarà appannaggio di un impianto formato da una caldaia a gas a condensazione e pannelli solari posti sulla copertura della palestra (Aspilt).

Molti dei progetti che avete realizzato o sono in corso di realizzazione interessano proprio edifici collettivi…

«Non ci sentiamo vincolati a specifiche tipologie edilizie, ma effettivamente i nostri lavori riguardano in gran parte opere pubbliche o comunque a destinazione pubblica. È un campo che ritengo molto interessante perché estremamente vario. Ad esempio, mi è capitato di affrontare diversi progetti di ampliamento di aeroporti, scoprendo che le tipologie impiantistiche cambiano molto a seconda delle realtà. Si passa dai classici impianti a tutt’aria a portata variabile fino a quelli a doppio flusso con canali paralleli per aria fredda e calda e cassette miscelatrici. Anche l’organizzazione dei lavori segue criteri particolari, simili a quelli degli interventi in edifici sanitari: non potendo chiudere la struttura, bisogna operare a scacchiera interessando volta per volata aree limitate».

Quali problematiche si incontrano lavorando per committenti pubblici o para-pubblici?

«Purtroppo le amministrazioni locali sono oggi vincolate dalle norme cosiddette di stabilità che, di fatto, bloccano gran parte delle iniziative. Diverso è invece il discorso relativo alle società partecipate da enti pubblici, che solitamente hanno maggiori possibilità economiche, spesso, dispongono di strutture tecniche di elevato profilo. Il problema principale, comunque, è l’eccessiva dilazione nel tempo dei pagamenti, prassi divenuta ormai divenuta insostenibile per gran parte dei professionisti e delle imprese. A questa situazione si sommano i lunghi tempi e i costi delle azioni legali per la riscossione dei crediti, che vanificano ogni aspettativa di ottenere il giusto riconoscimento economico dell’attività professionale svolta».

La formazione di strutture professionali più grandi, anche in forma societaria, potrebbe essere una risposta a questo stato delle cose?

«Personalmente, per ora, questa opzione non mi interessa: preferisco continuare e fare l’ingegnere e occuparmi prevalentemente di aspetti tecnici, attività che in uno studio o in una società più grande dovrei necessariamente sacrificare per dedicare tempo agli aspetti manageriali. Il confronto con colleghi e committenti è la parte della professione che mi dà maggiori soddisfazioni e che mi spinge a continuare: mi piace essere “libero” e “professionista”. In generale, comunque, riscontro che i problemi quotidiani di uno studio relativamente piccolo, come il mio, sono comuni anche ad altre realtà più strutturate. Ad esempio, ritengo l’eliminazione dei minimi tariffari abbia creato ulteriore confusione in un mercato già indirizzato verso la decrescita dei compensi. Sarebbe stato meglio prevedere un sistema tariffario di riferimento, non solo per tutelare la dignità professionale ma anche per consentire un’effettiva comparabilità fra le diverse offerte, a tutela dei committenti».

Palazzo Vestri, uno degli edifici più rappresentativi di Prato, è stato per lungo tempo un albergo; sottoposto a un attento restauro, è stato riaperto nel 2008 come sede di uffici della Provincia (Aspilt).

a cura di Livia Giannellini