Smart working: impatto su IAQ e consumi energetici

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Lo smart working produce un impatto sulla qualità dell’ambiente indoor

La diffusione del lavoro da casa comporta un impatto significativo sulla qualità dell’ambiente indoor e sul consumo di energia delle abitazioni, che devono quindi essere dotate di impianti adeguati a rispondere a nuovi fabbisogni.

Negli anni successivi alla pandemia da CO­VID-19 si è verificato un aumento consistente del numero di persone che lavorano da casa. La transizione verso un maggiore utilizzo del­lo smart working porta con sé un potenziale effetto sulla qualità dell’ambiente domestico in cui si trovano le perso­ne che usufruiscono di questa forma di lavoro a distanza.

La progettazione degli impianti HVAC a servizio degli edifici re­sidenziali deve quindi considerare questa loro nuova duplice funzione, abitativa e lavorativa. In particolare, i parametri chiave per le prestazioni degli ambienti confinati, quali la salute e la pro­duttività degli occupanti, il consumo energetico e le emissioni di carbonio possono essere notevolmente influenzati da un nume­ro sempre maggiore di persone che lavorano all’interno delle loro residenze.

Sebbene lo smart working fosse già una realtà prima dell’insor­genza della pandemia all’inizio del 2020, le precauzioni adotta­te da molte aziende per ridurre la trasmissione del coronavirus hanno aumentato questo fenomeno in modo vertiginoso.

Si stima che nel 2019 lavorasse regolarmente da casa il 5,7% della forza lavoro negli Stati Uniti americana e il 5,4% di quella dell’Unione Europea. Durante il picco della pandemia nel 2020, è stato rilevato che questa cifra è salita al 40%. Anche se mol­ti dipendenti sono ormai rientrati negli uffici, è opinione diffusa che lo smart working rappresenti una modalità destinata a re­stare per sempre. Le previsioni variano notevolmente sul nume­ro di giorni lavorativi che continuerà ad essere svolto da casa.

Un sondaggio negli Stati Uniti effettuato nel 2022 ha rive­lato che il 58% degli intervistati ha l’opportunità di lavora­re da casa almeno un giorno a settimana mentre il 35% può fruire dello smart working per cinque giorni alla settimana. Dati provenienti da indagini effettuate a partire dall’inizio della pandemia suggeriscono che d’ora in poi circa il 30% delle ore lavorative saranno svolte da casa.

Sebbene le tendenze siano di difficile interpretazione e pre­visione, è chiaro che il settore dell’edilizia residenziale deve affrontare un profondo cam­biamento nel modo in cui le persone utilizzano le proprie abitazioni.

Comfort, salute e produttività

Un cambiamento molto importante è quello legato alle aspettati­ve degli occupanti nei confronti dell’utilizzo degli spazi degli edi­fici residenziali come ambienti di lavoro. Molte ricerche effettua­te prima della pandemia avevano concluso che lo smart working generalmente offre migliori condizioni lavorative. I benefici più sostanziali che all’epoca venivano indicati erano costituiti da mi­gliore concentrazione, riduzione di rumore e interruzioni, mag­giore privacy e livelli più elevati della qualità dell’aria, tutti aspetti che concorrono a migliorare la salute fisica e mentale come pure la produttività.

Tuttavia, è da notare che prima della pandemia lo smart working era utilizzato prevalentemente da consulenti o dirigenti con alto reddito, mentre durante la pandemia il lavoro “forzato” da casa è stato esteso a personale con soluzioni logi­stiche non ottimali, appartenenti a una fascia di reddito molto più ampia.

La maggiore incidenza del lavoro da casa richiede la compren­sione dell’impatto dell’ambiente interno sulle condizioni delle persone, ma ha portato alla luce il fatto che molte non sono tut­tora consapevoli delle problematiche legate alla qualità ambien­tale indoor (IEQ), connesse non solo alla temperatura ambiente, ma anche a umidità, ventilazione, illuminazione e rumore.

Un sondaggio effettuato tra aprile e giugno 2020 ha rivela­to che la soddisfazione nei confronti dei parametri dell’am­biente indoor è correlata a un valore inferiore del numero di casi segnalati di problemi di salute fisica e mentale. Uno studio pilota condotto in Texas ha invece indicato che i sin­tomi della sindrome dell’edificio malato (SBS) sono più fre­quenti durante il lavoro da casa piuttosto che in ufficio. Un’altra osservazione importante è che solo l’11,4% dei parteci­panti a un sondaggio ha dichiarato di sapere se e come la propria postazione di lavoro, compreso il livello di IEQ, possa influenzare le condizioni di salute e benessere e la produttività.

Per migliorare la consapevolezza dell’impatto dell’attività lavorativa nelle abitazioni è quindi opportuno l’impiego di dispositivi per il controllo del­le condizioni ambientali dotati anche di sensori di CO2 in grado di fornire agli occupanti dati non solo su temperatura e umidità ma anche sulla qualità dell’aria (figura 1).

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Fig.1 – L’impiego di sensori di CO₂ consente di monitorare le condizioni della IAQ (Belimo)

Tuttavia, è fondamentale che la comunicazione di queste infor­mazioni, disponibili anche su smartphone, sia di facile compren­sione e sia accompagnata da istruzioni per interpretare corretta­mente i dati raccolti dai sensori e per suggerire agli occupanti, in caso di superamento di determinate soglie limite, l’apertura delle finestre oppure la regolazione di un impianto VMC, se presente.

L’aumento dei contaminanti indoor

In presenza di persone che lavorano da casa, diversi fattori rela­tivi alla qualità dell’aria interna vengono modificati. Il primo cam­biamento riguarda l’aumento delle emissioni inquinanti provo­cate dai processi metabolici degli occupanti, quali CO2, vapore acqueo e bioeffluenti, compresi gli odori.

Inoltre, in genere si verifica un maggiore utilizzo delle cucine e quindi un aumento della quantità di contaminanti e di vapor d’acqua prodotti dalla cottura e che spesso restano all’interno delle abitazioni in assenza di efficienti cappe di estrazione. Po­trebbero tuttavia prodursi anche altri effetti meno evidenti. Per esempio, le emissioni di formaldeide possono variare in modo sostanziale essendo strettamente legate alla temperatura e all’u­midità degli ambienti.

Durante la stagione invernale, se l’abita­zione viene utilizzata e riscaldata durante il giorno, è probabile che si verifichi un aumento dei tassi di emissione di formaldeide, con una concentrazione più elevata rispetto alla situazione in cui la casa resta vuota e non riscaldata. Per le residenze dotate di impianti di climatizzazione l’effetto si inverte, con tassi di emissione di formaldeide più bassi durante l’estate rispetto a case che in precedenza non erano raffrescate.

L’impatto dello smart working sui livelli dei contaminanti può variare in modo notevole. Ad esempio, mancano ancora dati su quanto sono state utilizzate maggiormente le cucine durante la pandemia, di conseguenza trarre conclusioni sull’impatto delle attività di cottura risulta difficile. Tuttavia, i risultati di una ricerca suggeriscono che la quantità di tempo che le persone trascorro­no in cucina e nella sala da pranzo, incluse le attività di prepa­razione dei cibi, è aumentata con lo smart working.

Altre ricerche hanno messo a confronto in modo quanti­tativo i livelli dei contaminanti prodotti durante il lavoro da casa rispetto a quelli rilevati negli edifici per uffi­ci, con concentrazioni solitamente più alte di PM2.5, PM10, composti organici volatili totali (TVOC) e CO2.

Quando si confrontano gli ambienti di casa e ufficio, l’approccio migliore consiste nel confrontare uffici e case degli stessi lavoratori. Una ricerca dedicata in modo specifico ai cambiamenti legati alla pandemia ha mostrato che i livelli di PM2,5 rilevati in abitazioni in cui veniva svolto il lavoro da casa sono risultati significativamente superiori a quelli degli uffici. Le concentrazioni di PM2,5 che sono rilevate in tutte le famiglie hanno superato la soglia limite per la salute riferita al valore medio annuo (12 μg/m³), mentre il 90% degli uffici è risul­tato in regola. Un altro confronto relativo alla concentrazione di formaldeide ha invece mostrato una ridotta differenza tra le case (da 8,4 a 20 μg/m3) e gli uffici (da 4,6 a 17 μg/m3).

Confronti più generalizzati tra residenze e uffici risultano com­plessi poiché la maggior parte delle ricerche riguarda singoli casi di studio sia di case sia di uffici, in luoghi e con tipologie di occupanti diversi.

La ventilazione

La più elevata concentrazione di contaminanti rilevata nelle abi­tazioni dove si pratica lo smart working è tipicamente dovuta al fatto che la stragrande maggioranza delle case non è dotata di sistemi di ventilazione meccanica e ci si affida alle infiltrazioni naturali attraverso i serramenti oppure all’apertura delle fine­stre. Ciò comporta una grande variabilità e incertezza per quan­to riguarda l’efficacia del ricambio d’aria.

Inoltre, in assenza di sistemi di ventilazione meccanica, l’aria che entra nelle abitazioni con l’apertura delle finestre peggiora i livelli di IAQ in quanto risulta carica di inquinanti quali polveri sot­tili e ozono. L’ingresso di aria che non viene trattata termicamen­te provoca ovviamente anche condizioni di disagio (e maggiori consumi) nelle condizioni di punta estive e invernali.

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Fig. 2 – Sistema VMC per un appartamento
con unità installata all’interno del controsoffitto (Caleffi)

La funzione dei sistemi VMC diventa quindi ancora più impor­tante per garantire le condizioni di IAQ mediante l’immissione di aria esterna trattata in modo adeguato mediante sistemi di filtra­zione in grado di rimuovere i contaminanti atmosferici (figura 2).

Le soluzioni disponibili sono diverse in base al tipo di abitazione, Per gli appartamenti di nuova realizzazione oppure oggetto di ristrutturazione è possibile installare le unità VMC all’interno dei controsoffitti o di armadi, mentre per le case unifamiliari l’instal­lazione può avvenire in locali tecnici o cantine (figura 3).

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Fig. 3 – Unità VMC per abitazione unifamiliare installata al piano interrato (Systemair)

Per il controllo e la regolazione di questi sistemi è consigliabile utilizzare unità multisensore con segnalazione della concen­trazione ambientale di CO2 (figura 4). Per garantire sempre una buona IAQ nel corso del tempo è fondamentale garantire un fa­cile accesso alle unità VMC per eseguire le operazioni di pulizia e sostituzione dei filtri (figura 5).

Una soluzione per interventi di retrofit di appartamenti di piccola superficie è invece costituita dall’impiego di apparecchi da installare sulle pareti esterne do­tati di recuperatore di calore ceramico (figura 6). Il ventilatore estrae l’aria viziata presente all’interno della stanza, trattenendo l’energia termica nello scambiatore di calore ceramico finché non viene raggiunta la capacità massima. Il flusso viene poi in­vertito facendo passare l’aria esterna attraverso lo scambiatore dove, a seconda della stagione, viene preriscaldata o preraffre­scata, prima di essere immessa nell’ambiente.

Le normative di riferimento

Un aspetto importante legato alla diffusione del lavoro da casa è costituito dal fatto che questo fenomeno mette in discussione i tradizionali confini tra edifici residenziali e terziari in termini di requisiti per le condizioni ambientali. Trasferire il lavoro in casa significa che è necessario considera­re condizioni simili a quelle di un ufficio, costringendo le case a soddisfare nuovi e molteplici fabbisogni.

Questo cambiamento potrebbe quindi avere un impatto sulle attuali normative rela­tive alla ventilazione e alla qualità dell’aria interna che devono essere utilizzate per la progettazione dei sistemi di ventilazione meccanica. Il diverso uso delle case significa infatti che le ipotesi sull’occupazione degli spazi per valutare le prestazioni degli edi­fici e degli impianti dovrebbero essere aggiornate.

Si dovrà quin­di valutare se le normative sviluppate per edifici che storicamen­te sono sempre stati classificati come residenziali sono ancora adeguate quando questi edifici sono sempre più spesso utilizzati anche come luoghi di lavoro. A tale proposito può essere utile analizza­re se quanto previsto, ad esempio, dalla norma UNI EN 16789-1 sia effettivamente in grado di garantire ambienti residenziali adatti anche allo svolgimento dell’attività lavorativa.

Per gli edifici non residenziali le portate di ventilazione sono cal­colate in base alla superficie dell’ambiente e al numero di perso­ne, in modo da considerare sia il carico dei bioeffluenti dovuti al metabolismo sia gli inquinanti emessi da materiali da costruzio­ne e arredi. La portata minima risulta di 7 l/s a persona più 0,7 l/s per m2 di superficie, con riferimento alla categoria II di qualità dell’am­biente, a edifici a basse emissioni inquinanti (low polluting) e a persone non adattate.

Per gli edifici residenziali la norma pre­vede invece un approccio diverso, con la possibilità di scegliere tra diversi metodi per il calcolo della portata di ventilazione (in base a superficie, ricambi orari, oppure numero di occupanti e superficie) oppure della portata di estrazione in base al numero di locali, in questo caso facendo riferimento a persone adattate. I valori minimi della portata di ventilazione per le abitazioni sono di gran lunga inferiori a quelli per gli uffici, essendo pari a 2,5 l/s a persona più 0,15 l/s per m2 di superficie.Per un ambiente di 20 m2 con presenza di 2 persone, la por­tata minima risulta di 28 l/s nel caso di un ufficio e di 8 l/s per un’abitazione.

Anche l’ASHRAE dovrà probabilmente valuta­re l’opportunità di adeguare gli attuali riferimenti normativi. L’ASHRAE Standard 62.2, ad esempio, specificamente dedica­to ai sistemi di ventilazione degli edifici residenziali, potrebbe essere integrato con indicazioni relative alla progettazione di ambienti adeguati anche per il lavoro domestico, ad esempio prevedendo le procedure contenute l’ASHRAE Standard 62.1. Questo obiettivo di adeguamento risulta tuttavia complicato dal fatto che gli spazi nelle case possono essere utilizzati per molte­plici scopi, ad esempio, lavorare, dormire, imparare.

Consumi elettrici e interazione con la rete

La pandemia ha avuto un impatto notevole anche sui modelli di consumo energetico degli edifici residenziali a seguito dei cam­biamenti nell’uso da parte delle persone. A livello di edificio, una serie di ricerche hanno confermato che la pandemia ha modi­ficato i profili di occupazione e del prelievo di energia. Questo cambiamento è risultato particolarmente significativo durante il tipico orario lavorativo, rispetto al periodo del prepandemia quando poche persone lavoravano da casa e pochissime fre­quentavano la scuola a distanza.

Il consumo complessivo di energia nel settore residenziale è aumentato fino al 32% con picchi superiori del 53%. Con ri­ferimento alle diverse tipologie di utenza, sono aumentati sia i consumi di energia per gli impianti HVAC sia quelli non correlati a questi impianti. I profili del consumo energetico nei fine setti­mana sono risultati più vicini ai livelli del prepandemia rispetto a quelli dei giorni feriali.

Considerando gli impatti sulla rete elettri­ca, le prime fasi della pandemia hanno comportato una riduzio­ne della domanda complessiva di elettricità sulla rete, ma una percentuale crescente della domanda proveniva dagli edifici re­sidenziali. Dato che i profili di carico di residenze e uffici sono di­versi, questo cambiamento influisce anche sul profilo del carico sulla rete. Sebbene sia un aspetto tuttora poco studiato, il fatto che più persone lavorano e restano a casa incide sulla poten­ziale riduzione della domanda da parte degli impianti a servizio degli edifici residenziali.

Mentre il picco della domanda, e quindi la potenziale riduzione della domanda, potrebbe essere più ele­vato in edifici residenziali con più persone che lavorano da casa, è anche più probabile che il cambio d’uso dei vari impianti e ap­parecchiature che consumano energia possa avere un impatto sul comfort degli occupanti e/o sulle attività quotidiane.

Il maggiore utilizzo durante il giorno delle abitazioni distribuite sul territorio di una regione potrebbe richiedere una maggiore attenzione all’efficienza energetica degli edifici residenziali ri­spetto a quella degli edifici terziari, spesso concentrati in alcuni quartieri urbani, al fine di soddisfare gli obiettivi di efficienza su scala nazionale o globale. Nell’ambito dell’impegno rivolto alla decarbonizzazione del patrimonio edilizio, il diverso utilizzo degli edifici residenziali potrebbe richiedere un intervento sulle strategie di regolazione per allineare il consumo energetico nelle abitazioni ai periodi in cui la rete presenta la più bas­sa intensità di carbonio.

Conclusioni

Una questione sociale e legale che potrebbe avere un forte impatto è quella relativa alla respon­sabilità dei datori di lavoro nel garantire adeguati spazi di lavoro per i dipendenti. Molti accordi aziendali per il lavoro da casa, come i responsabili delle risorse umane, sottolineano ad esempio la necessità di creare spazi di lavoro ergonomici per i dipendenti.

Poiché la ricerca suggerisce una correlazione tra ambiente e produttività, risulta necessario mettere a disposizio­ne di datori di lavoro e dipendenti delle linee guida per la creazio­ne di spazi di lavoro nelle abitazioni caratterizzati da condizioni ambientali ottimali. La capacità di lavorare in modo efficiente da casa come risposta alla pandemia ha cambiato le modalità in cui le persone lavorano. Ora è necessario garantire che l’ambiente indoor delle nostre abitazioni favorisca il lavoro produttivo e che gli edifici residenziali siano in grado di adattarsi a questi cam­biamenti.

Sebbene le aspettative di comfort possano differire tra uffici e case, è fondamentale che entrambi siano in grado di fornire condizioni ottimali negli ambienti occupati. È da conside­rare che il miglioramento dei livelli di IEQ in ambito residenziale possono avere un impatto positivo anche su anziani e bambini che tradizionalmente trascorrevano più tempo in casa nelle loro case anche prima della pandemia.

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