Studio sull’isola di calore delle città italiane

IsolaGli effetti del caldo sulla salute sono ormai confermati da abbondante letteratura. Numerosi studi epidemiologici, infatti, hanno dimostrato in varie parti del mondo, una robusta associazione tra effetti a breve termine delle elevate temperature e la salute della popolazione in generale ma soprattutto quella di specifiche categorie di soggetti considerati come “a maggior rischio”.

Gli effetti del caldo hanno mostrato gli impatti maggiori sui soggetti anziani e soprattutto sulle persone che vivono in ambiente urbano: un recente studio americano ha stimato un aumento del 3% dei ricoveri ospedalieri di soggetti anziani (di età superiore a 65 anni) nei successivi 8 giorni seguenti condizioni di caldo estremo.

In ambiente urbano l’effetto termico è amplificato dal tipico fenomeno di origine antropica noto con il termine di “isola di calore urbana” (dall’inglese Urban Heat Island). Tale fenomeno, caratterizzato da aree urbane cittadine molto più calde rispetto a quelle periferiche o rurali circostanti, è determinato dal maggiore accumulo di calore durante il periodo diurno (favorito soprattutto dalla eccessiva cementificazione e elevata presenza di superfici asfaltate nelle città) e dal successivo rilascio del calore durante la notte per irraggiamento. E’ infatti, proprio durante le ore notturne che il fenomeno dell’isola di calore è particolarmente intenso, con differenze tra le zone centrali e rurali che, nelle nostre città, possono anche essere superiori a 5 °C. In città di grandi dimensioni tali differenze possono essere anche più marcate, superando i 10 °C.

I ricercatori dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr svolgono ormai da molti anni ricerche in questo ambito e hanno sviluppato, per le più popolose città Italiane, delle mappe ad alta risoluzione relative alla distribuzione spaziale del rischio diurno e notturno da caldo urbano.

Le città incluse nello studio hanno tutte più di 200 mila abitanti: cinque città del nord (Milano, Padova, Torino, Bologna e Genova), due del centro (Firenze e Roma) e quattro del sud (Bari, Napoli, Palermo e Catania).

Si tratta – sottolineano i ricercatori – di uno strumento molto utile per la pianificazione degli interventi durante fenomeni particolarmente disastrosi come le ondate di calore che, oltre a causare grandi disagi tra la popolazione (in termini di percezione dell’ambiente termico), determinano ogni anno grandi perdite in termini di vite umane. L’esatta conoscenza delle zone urbane a maggior rischio degli effetti del caldo per la popolazione può facilitare e ottimizzare interventi da parte delle autorità locali che si occupano delle strategie di intervento per contrastare gli effetti del caldo a scala urbana. Le informazioni spaziali ottenute da queste mappe potrebbero essere implementate nei servizi di allerta delle ondate di caldo attivi ormai una decina di anni in numerose città italiane (Hhws, Heat Health Warning Systems). Ma sarebbero d’aiuto anche per azioni a medio/lungo termine, migliorando la pianificazione di interventi di mitigazione dell’ambiente urbano, identificando le aree pubbliche e private adatte a una corretta e strategica reintroduzione della vegetazione, o ancora rivestendo i tetti con vegetazione (tetti verdi) o utilizzando materiali riflettenti, modificando, quindi, le superfici degli edifici.

Vista l’importanza delle caratteristiche del suolo in ambiente urbano, alcuni ricercatori dell’Ibimet stanno anche effettuando altre indagini per valutare a livello stagionale le relazioni tra il consumo di suolo (soil sealing) e il livello termico nelle città, inteso come variazione di temperatura superficiale del suolo (Lst).

Nelle città studiate in queste indagini preliminari è risultato che al crescere del consumo di suolo la temperatura di superfice diurna e notturna aumenta linearmente in modo significativo. Ad esempio, per la città di Milano, per ogni 20 ettari di suolo consumato è stato osservato un aumento diurno della temperatura superficiale del suolo media annua di circa 0,6 °C.

Si tratta di risultati attesi ma oggi quantificabili grazie ai dati messi a disposizione da Ispra, a cui va A livello annuale e nelle città studiate – spiegano i ricercatori – sono richiesti in media poco più di 40 campi di calcio di suolo consumato per avere un aumento di 1 °C della temperatura superficiale del suolo. Ovviamente però ci sono differenze a livello stagionale e tra le varie città. In particolare, nelle stagioni più calde (primavera e estate) sono necessari un minor numero di campi di calcio (minore consumo di suolo) per avere un aumento di 1 °C della temperatura superficiale del suolo. Ogni città comunque reagisce in maniera diversa denunciando un carattere di “località” in funzione delle proprie caratteristiche specifiche.

Queste informazioni quantitative – concludono i ricercatori – permetteranno di programmare interventi di mitigazione città-specifici, basati quindi sulle caratteristiche delle singole città, mitigando l’aumento termico previsto da molte proiezioni climatologiche nell’immediato futuro e contribuendo a migliorare la qualità della vita dei sempre più affollati ambienti urbani.