L’Istituto nazionale di statistica ha recentemente ha pubblicato una serie di approfondimenti dedicati alla risorsa idrica in Italia.
Il quadro informativo offerto – spiega l’Istat – fa riferimento a numerose rilevazioni, pertanto i dati più aggiornati sono disponibili per anni diversi. Dal documento emerge che nel corso del 2022 i gestori dei servizi idrici per uso civile sono 2.110, di cui 1.738 in economia (82,4%), ovvero Comuni ed enti locali, e 372 gestori specializzati (17,6%). Questi enti hanno svolto almeno uno dei seguenti servizi idrici pubblici: prelievo di acqua per uso potabile, distribuzione dell’acqua potabile, fognatura, depurazione delle acque reflue urbane.
Nel 2022, il prelievo di acqua per uso potabile (9,14 miliardi di metri cubi) è gestito da 1.492 enti (-127 sul 2020): nel 79,4% dei casi si tratta di gestori in economia (1.184 enti) e nel restante 20,6% di gestori specializzati (308). Benché in numero nettamente inferiore, gli enti gestori specializzati dominano il prelievo idropotabile poiché generalmente operano su ampie aree del territorio e su fonti di approvvigionamento rilevanti. Nel 2022, i 308 gestori specializzati hanno prelevato il 91% del totale, un dato in leggero incremento rispetto al 2020, a testimonianza del progressivo processo di accentramento nella gestione del servizio.
L’approvvigionamento idropotabile in Italia – continua l’Istat – è costituito prevalentemente dalle acque sotterranee prelevate da sorgenti e pozzi. Oltre il 50% delle fonti di approvvigionamento per uso potabile è rappresentato dalle sorgenti che contribuiscono al 36,2% del prelievo totale con un volume di 3,3 miliardi di metri cubi.
L’acqua potabile prelevata raggiunge i punti di utilizzo finale tramite le reti comunali, nel 2022 il servizio di distribuzione è attivo in 7.891 Comuni su 7.904, con copertura completa o parziale del territorio. Solo complessivamente circa 58mila abitanti (lo 0,1% della popolazione totale)sono totalmente sprovvisti del servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile.
Le perdite idriche nei Comuni italiani che dispongono di un servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile – rileva l’Istat – si differenziano tra i vari modelli di gestione. Nel 2022, alle gestioni in economia corrispondono perdite idriche
totali in distribuzione pari al 45,5% del volume immesso in rete. Tale valore è superiore di 3,1 punti percentuali rispetto alla media nazionale (42,4%). Di contro, nelle gestioni specializzate, il valore delle perdite in distribuzione è complessivamente inferiore e pari al 41,9%.
Nel 2022 al servizio pubblico di fognatura comunale provvedono 1.866 gestori (-265 rispetto al 2020). Il servizio è attivo nel 99,5% dei Comuni, con copertura completa o parziale del territorio. In 41 Comuni, dove risiedono 397mila abitanti (0,7% della popolazione nazionale), il servizio è invece completamente assente. L’Istat stima che circa nove abitanti su 10 (88,8% della popolazione) siano allacciati alla rete fognaria pubblica, indipendentemente dalla presenza di impianti di trattamento successivi.
Sono circa 6,6 milioni, invece, i residenti non allacciati alla rete. La situazione si presenta tendenzialmente stabile a livello nazionale rispetto al 2020 (88,7%), collocando l’Italia al nono posto tra i Paesi dell’Ue27 per la percentuale di popolazione servita dal servizio pubblico di fognatura.
Nel 2023 un terzo dei capoluoghi di provincia/città metropolitana del Mezzogiorno (14 Comuni) ha adottato misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, attuando riduzioni o sospensioni dell’erogazione idrica. Le misure di razionamento nel loro complesso, applicate su parte e/o tutto il territorio comunale, hanno interessato circa 800mila persone, il 4,6% della popolazione residente nei capoluoghi.
Rispetto al 2023, nel 2024 – lamenta l’Istat – la situazione si è acuita ulteriormente, con un incremento sia del numero dei capoluoghi coinvolti sia della durata e intensità delle misure emergenziali. L’anno scorso, infatti, l’emergenza idrica si è manifestata in modo ancora più evidente in alcune aree del territorio nazionale, a causa di risorse idriche insufficienti a soddisfare le necessità della popolazione e delle attività, determinando restrizioni ancora più severe e frequenti.
L’Istat riporta infine i risultati dei sondaggi sul giudizio degli utenti rispetto alla gestione dell’acqua.
Oltre la metà delle famiglie (53,7%) considera adeguati i costi sostenuti per l’erogazione dell’acqua, ma il 39,8% li giudica elevati. Nel 2024 il 76,2% delle famiglie valuta molto o abbastanza soddisfacente la qualità dell’acqua in termini di “odore, sapore e limpidezza” (l’86,4% nel 2023). Le famiglie insoddisfatte sono il 23,8% del totale nazionale, la quota è però sensibilmente più alta in Sicilia (37,2%), Calabria (34,4%) e Sardegna (33,9%).
Nel 2024, le famiglie che dichiarano di non fidarsi di bere l’acqua del rubinetto sono il 28,7%. Il dato è stabile rispetto al 2023, pur nel contesto di una progressiva riduzione delle preoccupazioni rispetto a venti anni fa (40,1% nel 2002). Permangono notevoli differenze sul piano territoriale, passando dal 18,4% nel Nord-est al 49,5% nelle Isole.