BIM, le novità su standard e prassi

Un focus sull’aggiornamento legislativo e normativo del BIM con riferimento a standard e prassi per la collaborazione digitale di filiera secondo UNI EN Iso 19650 (2018-2021) e UNI 11337 (2009-2021).

BIM, in italiano ‘Modellizzazione delle Informazioni di Costruzione’, indica un metodo per l’ottimizzazione della pianificazione, realizzazione e gestione delle costruzioni tramite l’aiuto di un software. Tutti i dati rilevanti di una costruzione possono essere raccolti, combinati e collegati digitalmente e la costruzione virtuale è inoltre visua­lizzabile come un modello geometrico tridimensionale.

Nel cor­so di un convegno svoltosi durante la recente Mostra Convegno Expocomfort, il prof. Alberto Pavan del Politecnico di Milano ha fatto il punto sugli aggiornamenti legislativi sull’argomento.

Gli appalti pubblici

L’investimento nel settore pubblico, che è sempre crescente, ovviamente con un importo dedicato agli appalti che prevedono l’utilizzo del BIM, aumenta con l’aumentare del numero di appalti a cui però, ad ora, non fa riferimento un altrettanto forte incremen­to (anzi addirittura una diminuzione tra 2019 e 2020) nell’utilizzo del ‘capitolato informativo’ (exchange information requirement), nonostante la legislazione corrente punti sul suo impiego.

In Italia l’obbligo del BIM è stato introdotto nel 2019 per gli appalti supe­riori a 100 mln e la sola previsione di obbligo ha spinto da subito in tale direzione, prima nel settore pubblico e in breve nel privato. I dati confermano che la strada è tracciata ma va tenuto presente che, per procedere con un ‘appalto digitale’ è prioritario definire le regole, cosa che l’intero settore sta effettivamente facendo, con la stesura di regole che differiscono da quanto è riportato nel ‘codice dei contratti’ in uso, inadatto per il digitale poiché manchevole per aspetti tuttora non presi adeguatamente in considerazione.

Fon­damentale in questo contesto è la Direttiva appalti europea del 2014, che ha introdotto l’uso del BIM, da cui discendono i codici dei contratti nazionali che a loro volta devono introdurlo, in Italia con il dlgs 50/2016.

Il Regno Unito, ormai non più in EU, dal 2016 prevede l’obbligato­rietà del BIM per gli appalti governativi superiori ai 5 mln di sterli­ne mentre in Italia si è preferito stilare una scala di obbligatorietà progressiva (figura 1).

BIM
Fig. 1 La progressiva obbligatorietà del BIM secondo il DM 560/2017 (Fonte: Politecnico di Milano)

Il processo di introduzione del BIM nel no­stro Paese è quindi ormai avviato, con il primo Decreto Baratono. Oltre al calendario, altrettanto importanti ma meno considerate, sono le altre poche indicazioni in esso elencate e che definiscono il modello generale. Prima di tutto la creazione di un ambiente di condivisione dati e di un piano di gestione informativa.

Se l’appli­cazione della norma è volontaria, a meno che non venga esplicita­mente citata nel contratto, il fatto che sia ormai ben circostanziata fornisce inoltre anche ai giudici i riferimenti di legge in materia di appalti in BIM (figura 2).

BIM normativa
Fig. 2 Mappa della normativa volontaria (Fonte: Politecnico di Milano)

Da tenere ben presente il fatto che la stazione appaltante che aderisce all’obbligo disponga di un piano di formazione del per­sonale, un piano di acquisizione di hardware-software e un atto organizzativo per il processo di controllo e gestione dell’appalto, un documento che specifichi quindi come il BIM sia utilizzato della mia organizzazione.

Si rileva invece che in diversi casi le stazioni appaltanti pubbliche non hanno tenuto in debita considerazione questo aspetto, indicato all’articolo 3 del baratono. È auspicabile allora che almeno sussista una delibera che riporti gli adempimenti da assolvere entro un dato termine con la previ­sione di un apposito stanziamento di fondi.

Il calendario nel Decreto Baratono

Invariato fino al 2021, da quest’anno sono state introdotte delle modifiche, con l’uscita del Baratono 2, DM 312/21 in cui deca­de il riferimento a “qualsiasi opera” inferiore al milione di euro. Questo perché per molti enti della PA spesso gli appalti riguarda­no opere di piccole e medie dimensioni e un singolo tecnico ne segue vari contemporaneamente, per cui al momento sarebbe impraticabile introdurre un sistema digitale come quello delinea­to nel BIM.

A restare è quindi l’obbligo del BIM per appalti supe­riori a un milione di euro dal 2025, riferimento comune a Francia, Germania e Regno Unito, senza includere le opere di manuten­zione ordinaria e straordinaria, almeno fino a quando non saran­no disponibili una vasta serie di modellizzazioni sull’esistente.

Le linee guida

Il Decreto Semplificazioni 73/2022 stabilisce che per i progetti finanziati dal PNRR siano preferibilmente in BIM, dimenticando che il decreto Baratono già preveda per quali appalti utilizzare la tecnologia digitale. Questa convivenza di norme ha provocato una certa confusione negli addetti ai lavori che si sono doman­dati quale fosse il giusto percorso da imboccare, da cui l’appro­vazione del Baratono 2 proprio per chiarire eventuali dubbi.

L’in­tervento del Legislatore, con la pubblicazione delle linee guida per i progetti di fattibilità tecnico-economica con il PNRR sugge­risce quindi di affidarsi al BIM anche solo per la rendicontazione degli stanziamenti economici. Le linee guida ribadiscono alcuni punti fondamentali: uso del Capitolato Informativo-CI – le regole secondo cui procedere – un documento che origina dal proget­to e prende spunto dai requisiti informativi digitali (organization information requirement). L’organizzazione si muove così in ma­niera digitale e in base a un asset ben preciso.

Per esempio, si è deciso di intervenire su un edificio, quindi l’esigenza dell’autoriz­zazione e del gestore dell’asset in base a cui il progetto trova la sua misura e procedere alla stesura del CI e ricevere un’offerta di gestione informativa. Per poi definire il Piano di Gestione In­formativa-PGI (o BIM Execution Plan-BEP) mi posso confrontare con l’appaltatore, adottando la mentalità anglosassone, in cui a contare non è la stazione appaltante piuttosto che l’appalta­tore, bensì la miglior soluzione per realizzare l’opera pubblica. Nel mondo del digitale infatti stazione appaltante, appaltatore, progettista, impresa e gestore sono posti sul medesimo piano.

Si ribadisce inoltre l’importanza dell’ambiente di condivisione dei dati-ACDat (Common Data Enviroment) che definisce e in troduce come deve essere strutturato questo ambiente che è contrattualmente rilevante e funzionale al monitoraggio e al con­trollo e dove la stazione appaltante, ai fini della rendicontazio­ne, potrà verificare cosa progettista e impresa stanno facendo.

L’informativa prevede infatti che gli investimenti siano giustificati in maniera interoperabile alla Corte dei Conti. Una precisazione importante: l’ACDat è anche il luogo dove controllare che tutto funzioni ma non è una sorta di grande fratello, come da molti ipotizzato. I dati condivisi nell’ACDat creano quindi il primo Com­mon Data Enviroment della stazione appaltante, in quanto primo responsabile dei dati, ben distinto però dall’ambiente di lavoro di studio che stabilirà quando condividere i dati con la stazione ap­paltante e successivamente passare alla fase di pubblicazione.

Essere digitali

Un’organizzazione che voglia essere digitale, questo è il punto, ha come detto diversi parametri da rispettare, il punto non è uti­lizzare un modello slegato dal resto del contesto, per cui anche la contabilità dovrebbe essere in digitale, cosa che al momen­to non è immediata. Nel frattempo AgID (Agenzia per l’Italia in Digitale) con il dm 148/2021 ha stabilito le regole con cui com­pilare i bandi in digitale ma i soggetti interessati – costruzioni, progettisti, stazioni appaltanti – non si stanno sufficientemente adoperando per valutarne l’impatto.

AgID, da parte sua, ha inter­pellato i vari settori in merito alle linee guida ma ad oggi non ne ha ricevuto un riscontro, con il concreto rischio è che una volta usciti, i bandi digitali poco avranno a che spartire con il baratono. A questo sopperisce il CI, sebbene il rispetto di uno standard, che è atto volontario, non corrisponda all’aderenza a una legge.

Specifiche sulle normative

La norma di riferimento è l’information management, quindi la gestione delle informazioni, a cui building e modeling si acco­dano. Le norme ISO più importanti sono state adeguate a livello europeo, procedendo poi a stilare quelle sovranazionali: l’uscita della ISO 19650 ha introdotto un nuovo concetto, quello del Le­vel of Information Need – Loin (Livello di fabbisogno informativo) che dovrebbe sostituire il Level of Definition – LOD, andando poi a definirne i contenuti nel dettaglio, secondo il principio che non sussiste una scala di priorità ma che quel modello serve a un determinato scopo e i dati utili sono quelli e non altri (es. se devo fare dei calcoli per l’uso di una caldaia avrò bisogno del dato sul­la sua potenza, non altri).

In generale lo schema base della ISO 19650 viene declinato a livello nazionale per fornire delle specifiche e non appesantire le richieste amministrative. La differenza tra la normativa italiana, che segue il diritto romano – per cui prima viene la legge e poi il contratto – e quella basata sul diritto anglosassone, per cui vale l’esatto contrario, suggerisce a noi di valutare sempre la corrispondenza tra la norma imposta a livel­lo internazionale e il contesto legislativo nazionale, in modo da far convivere l’operato dei progettisti e quello delle imprese.

Se in U.K., ad esempio, viene applicata la ISO 19650 e tutto quanto non vi è ricompreso è incluso nell’allegato nazionale parte II, che quindi vale per loro e non in tutto il mondo, in Italia teniamo va­lide tutte le Fasi Informative del Processo Edilizio Digitale – UNI 11337 e via via le matchiamo con la 19650 senza mai andare in contrasto, così da agevolare l’operatore nell’applicazione della norma internazionale.

Nel nuovo schema dei Loin infine riman­gono le informazioni geometriche, alfanumeriche e i vecchi lod e loin, a cui si aggiunge la parte informativo-documentale che de­finisce cosa, perché, quando e per chi stai progettando, in base all’uso e all’obiettivo del modello.

BIM quadro normativo
Fig. 3 Il quadro normativo (Fonte: Politecnico di Milano)
GLI STANDARD

Il DM 312 del 2021 definisce anche la parte sugli standard nel BIM, che finora non era possibile citare; il Baratono 2 infatti stabilisce invece che si debbano richiamare gli standard esistenti, con la legge statale preminente su quella regionale e questa su quella comunale e così via. Come le leggi ISO sopravanzano quelle europee, preminenti su quelle nazionali, per cui in Italia andranno applicate le norme internazionali adottate UNI EN ISO 19650 (2018-2021) e UNI 11337 (2009-2021).

IL TAVOLO UNI
Più di cento soggetti stanno lavorando per scrivere le norme italiane e aiutare a scrivere quelle europee e internazionali, con la norma sui Loin guidata dall’Italia, così come quella che definirà regole, ruoli e figure per il BIM a livello europeo che definisce le caratteristiche di un’organizzazione europea digitale. L’invito ai vari soggetti interessati è quindi a partecipare, con una raccomandazione particolare sull’importanza dell’ambiente di condivisione dei dati che sia una piattaforma riassuntiva utile a fare strategia di scala.