Con la sempre maggiore diffusione e attenzione verso gli animali da compagnia, è cresciuta di pari passo l’esigenza di assicurare strutture di cura veterinarie in linea con le esigenze di igiene e sicurezza.
Di recente mi è capitato di dover far ricoverare presso una clinica veterinaria 24 ore della mia città la cavia porcellus (cavia domestica o porcellino d’india) per un intervento di “limatura” della propria dentizione (malocclusione), cresciuta nel corso degli anni in maniera sproporzionata. Niente di relativamente complicato stante la dichiarazione della dottoressa, fatto sta che la cavia domestica ah superato brillantemente l’operazione chirurgica. Purtroppo, neanche un mese più tardi è invece deceduta a causa di un probabile contagio batterico (la pasteurellosi) che ha portato, tra gli altri, effetti neurologici letali al sistema nervoso centrale. Non esiste ovviamente nessuna prova di correlazione scientifica tra i due eventi, ma analizzando in modo pragmatico la situazione, è stato facile accorgersi che la clinica non solo non era provvista di un sistema di gestione funzionale dell’impianto di ventilazione e ricambio aria, ma quest’ultimo era totalmente assente (in effetti non era stato poi così difficile accorgersi che qualcosa non andava dai forti, e sgradevoli, odori che si percepivano nei locali della clinica). Una breve indagine ha confermato poi che nel nostro paese questa situazione rappresenta di norma una consuetudine (figura 1), mentre viceversa negli USA la maggioranza delle cliniche e degli ospedali veterinari si sono dotati impianti di ventilazione in grado dia assicurare standard igienici e sanitari quasi al pari di quelli umani. Da qui la volontà di approfondire l’argomento con una serie di considerazioni atte a spostare l’attenzione anche nel campo della salute ospedaliera degli animali verso servizi tecnologici più idonei e professionali.
L’articolo vuole cosi portare l’attenzione sulla prevenzione della colonizzazione e della diffusione di agenti patogeni attraverso considerazioni di progettazione delle cliniche e degli ospedali, e delle pratiche di ventilazione da osservare anche nei piccoli ospedali veterinari, in particolare per quanto riguarda il trattamento e la gestione dei pazienti chirurgici, specie poi quelli che richiedono un trattamento di isolamento e sterilizzazione rispetto alla restante, e variegata, popolazione animale che frequenta l’ospedale.
Gli standard e le linee guida
La maggior parte delle linee guida della ventilazione che sono state fin oggi sviluppate per le strutture veterinarie basano di principio il proprio ragionamento sul controllo degli odori essenzialmente per questi motivi:
– l’odore è quasi sempre un ottimo indicatore di contaminanti presenti nell’aria;
– le particelle aerodisperse possono essere una causa di possibili contaminazioni patogene per gli animali e il personale;
– le particelle aerodisperse possono aumentare il rischio di esposizione alla malattia dei pazienti.
Va detto che la scarsa letteratura scientifica disponibile non definisce compiutamente se gli agenti patogeni possano trovare un’efficace diffusione attraverso gli impianti di trattamento dell’aria presenti negli ospedali veterinari. Tuttavia, gli standard di laboratorio per animali, che per loro ragione ricevono maggiori investimenti dall’industria sanitaria e farmaceutica, confermano che “il ricircolo dell’aria impiegata per ventilare gli ambienti destinati alla “gestione” degli animali al fine di risparmiare energia, possa comportare un aumento del rischio patogeno da trasmissione per dispersione aerea”.
A questo proposito si è consapevoli che molti agenti patogeni diffusi dagli animali malati possono essere aerodispersi e/o trasportati anche attraverso la polvere, e dunque l’utilizzo di aria di ricircolo nei sistemi HVAC che provvedono a ventilare più ambienti ospedalieri, presenta tra questi, un chiaro rischio biologico di contaminazione incrociata.
Oggi nel nostro paese il riferimento ai requisiti minimi impiantistici richiesti alle diverse condizioni ospedaliere degli animali viene dettato dall’Accordo n.1868 stato-regioni del 2003, che, oltre a determinare la dotazione minima degli ambienti per svolgere l’attività, ne disciplina nelle diverse strutture – in sintesi studio veterinario, clinica veterinaria e ospedale veterinario – la funzionalità, con la generica affermazione che “… nella sala d’attesa e nei locali operativi deve essere assicurata adeguata illuminazione e ventilazione”.
Naturalmente l’apertura di ognuna di queste strutture è subordinata al parere preventivo dell’ATS (autorizzazione sanitaria) e del Comune di appartenenza.
Detto questo non risultano invece oggi una serie di protocolli e normative che disciplinano in modo scientifico la ventilazione e la movimentazione dell’aria in questa tipologia di strutture, e questo appare ancora più incomprensibile vista la possibilità della zoonosi (malattie trasmissibili dall’animale all’uomo, e viceversa).
Diverso invece il campo degli standard internazionali, dove guardando all’esempio americano sono molteplici, anche se ovviamente decisamente minori rispetto a quelli umani, le specifiche impiantistiche “consigliate” per le strutture veterinarie.
Inoltre, la “The American Animal Hospital Association (AAHA)”, che è l’unica associazione che accredita gli ospedali veterinari negli USA e in Canada, ha emanato diverse linee guida specifiche per molte specie di animali (in tabella 1 quelle per gli equini) che devono essere sottoposti alle cure veterinarie.
Vanno poi ricordate le:
– Animal Welfare Act – USC Title 7 Sections 2131 to 2159 (legge federale che regola il trattamento degli animali);
– Code of Federal Regulations – Title 9 Animals and Animal Products (9CFR).
Oltre ai numerosi standard riferiti ai laboratori veterinari come:
– l’ASHRAE Laboratory Design Guide;
– l’Office of Laboratory Animal Welfare (OLAW).
E le guide emanate dalla Association for Assessment and Accreditation of Laboratory Animal Care (AAALAC):
– Guide for the Care and Use of Laboratory Animals (NRC);
– Guide for the Care and Use of Agricultural Animals in Research and Teaching (FASS).
Dopo questa panoramica non esaustiva, si rimane comunque coscienti che oggi risulta difficile e complicato stabilire con certezza degli standard di ventilazione e di ricambi aria per le strutture ospedaliere veterinarie, ma allo stesso tempo si è del tutto consapevoli che una loro deficienza potrebbe essere la causa di proliferazione di ulteriori malattie, sia nei pazienti animali e sia (forse) negli operatori sanitari.
Tab.1 Parametri microclimatici dei reparti ospedalieri veterinari per cavalli.
Reparto | Pressione differenziale verso gli spazi confinanti | Ricambi orari minimi totali (Vol/h) | Percentuale aria esterna (%) | Temperatura di progetto (°C) |
Sala esami | Neutra | 8 – 10 | 40 | 4 – 29 |
Ambulatorio | Negativa | 8 – 10 | 40 | 4 – 29 |
Sala operatoria | Positiva | 10 – 12 | 60 – 100 | 12,5 – 19 |
Sale post operatorie/terapia intensiva | Negativa | 10 – 12 | 100 | 4 – 29 |
Reparti degenza | Negativa | 10 – 12 | 60 – 100 | 4 – 29 |
Quarantena/isolamento | Negativa | 12 – 15 | 100 | 4 – 29 |
La fase progettuale
Una prima importante considerazione parte dal presupposto che il controllo delle infezioni nosocomiali deve essere uno dei punti focali da inserire nella pianificazione di un progetto che prevede la costruzione di un ospedale veterinario, sia che questo venga realizzato ex novo, o sia che derivi dalla ristrutturazione di un edificio/impianto esistente.
Come detto in assenza di particolari e specifici standard destinati esclusivamente al mondo animale è possibile riferirsi alle raccomandazioni valide per le strutture ospedaliere per pazienti umani, e considerare gli aspetti impiantistici applicati dall’ingegneria atti a limitare il più possibile il rischio di introduzione o la colonizzazione degli agenti infettivi in queste realtà.
Va da sé che diverse di queste linee guida ospedaliere non risultano rilevanti nei servizi sanitari veterinari, ma alcune strategie comuni possono essere prese come base per un primo riferimento.
Innanzitutto, nelle prime fasi del processo di progettazione vanno individuate le aree dell’ospedale che dovrebbero ricevere una particolare attenzione al fine del controllo delle infezioni patogene aerodisperse. Tra questi ambienti di norma si annoverano quelli utilizzati per l’alloggiamento o il trattamento dei pazienti immunocompromessi (ad esempio, i pazienti sottoposti a chemioterapia, i pazienti geriatrici, i pazienti pediatrici), come le sale operatorie, le camere di isolamento, le unità di terapia intensiva, i locali di recupero post-operatorio e i reparti oncologici. Risulta poi assodato che rispetto agli altri ambienti, le sale operatorie richiedono una maggiore attenzione e grado di controllo delle infezioni (figura 2).
Queste (le sale operatorie) dovrebbero essere progettate al fine di limitare i passaggi pedonali nelle immediate vicinanze, risultato che si ottiene di norma posizionando la sala operatoria in un cosiddetto “vicolo cieco”, ubicazione questa che riduce al minimo il movimento di persone in prossimità del suo ingresso. In modo analogo anche i serramenti/finestre delle sale operatorie non dovrebbero mai risultare aperti, cosi come invece negli ambienti dove sia tecnicamente possibile, tutte le finestre dovrebbero essere dotate di zanzariere. Le camere di isolamento devono essere progettate con un’anticamera di separazione idonea alla vestizione degli operatori (guanti, camice, stivaletti ecc.), e al lavaggio con disinfettanti delle mani (figura 3). L’anticamera ha anche lo scopo di limitare il movimento dell’aria dalla camera di isolamento verso gli ambienti dove sono ricoverati gli altri pazienti dell’ospedale, e risulta nondimeno utile anche al ricovero della biancheria sporca.
Inoltre, se vi è sufficiente spazio, sarebbe buona cosa dedicare due distinte aree di isolamento in modo di consentire la separazione degli animali con differenti malattie infettive, cosi come potrebbe essere prevista una zona di lavaggio separata all’interno nell’unità di isolamento.
Dopo aver definito queste premesse sostanziali, si può passare a valutare nei dettagli gli aspetti che più caratterizzano l’intervento di un tecnico HVAC nella progettazione di un ospedale veterinario: la climatizzazione degli ambienti e in particolare la loro ventilazione.
La ventilazione
Va da sé che la progettazione dovrebbe essere affidata ad uno specialista – ingegnere di tecnica ospedaliera, in grado perciò di definire un sistema di ventilazione idoneo ad affrontare i problemi, quali: il controllo degli odori, dell’umidità, e dell’efficienza degli impianti di riscaldamento e di condizionamento (di norma quest’ultimo raramente presente, ma vivamente consigliato). Il controllo delle infezioni deve essere indubbiamente un fattore prioritario nella progettazione; come detto la contaminazione dell’aria è probabilmente il rischio più significativo nello sviluppo delle infezioni del sito chirurgico. Le aree più esposte e sensibili, dove si riscontra uno dei più alti indici di infezione, come le sale operatorie e i locali per i trattamenti chemioterapici non solo devono avere un’adeguata ventilazione, ma ci si deve assicurare che mantengano sempre una pressione “atmosferica” relativa dell’ambiente maggiore rispetto ai corridoi e alle zone adiacenti. Questa ventilazione “a pressione positiva” garantisce che l’aria si muova dalla zona pulita verso le altre aree meno sterili (cioè dall’interno della stanza al corridoio), impedendo in tal modo che le particelle infettive sospese nell’aria possano entrare nella zona sensibile. In genere le sale operatorie dovrebbero essere mantenute con una pressione di 2,5 Pa maggiore delle aree adiacenti.
L’utilizzo di sistemi di ventilazione a flusso d’aria laminare viene di norma utilizzato nelle camere operatorie, dove anzi risulta quasi sempre la soluzione “unica” per le situazioni in cui siano richiesti elevati valori di pulizia e asepsi.
L’aria viene immessa dal soffitto a bassa velocità (normalmente contenuta entro gli 0.4/0.5 m/s) attraverso opportuni diffusori forellini e discende nella stanza con un moto uniforme e laminare (senza trascinamento). Lo spostamento dell’aria presente e cosi il continuo lavaggio della stanza a causa di questa corrente discendente assicurano valori di purificazione molto elevati.
Pare così evidente che anche nel campo del benessere animale, la sala operatoria dovrebbe essere dotata di un simile sistema, ma purtroppo pur essendo indubbiamente questa soluzione la più efficace, è anche la più impegnativa sia in termini progettuali e di funzionalità, ma soprattutto dal punto di vista economico.
Risulta così frequente che si opti per sistemi di distribuzione dell’aria a flusso turbolento. Con questo sistema di distribuzione l’aria primaria immessa nella sala ospedaliera si miscela con l’aria ambiente per effetto essenzialmente dei moti induttivi.
Pur essendo il sistema più economico e versatile, presenta intrinsecamente delle forti limitazioni, di cui la più gravosa risulta senz’altro la presenza pressoché certa di contaminati in prossimità del blocco operatorio, che ne dovrebbero appunto sconsigliare di fatto l’uso proprio per le sale operatorie.
Oltre a mantenere una ventilazione dell’aria con pressione positiva, la sala operatoria dovrebbe essere soggetta ad almeno 15 ricambi d’aria per ora, di cui almeno tre dovrebbero consistere di aria esterna. Dove non sia possibile assicurare l’immissione continua di aria esterna, diventa necessario utilizzare, in aggiunta a quelli previsti, delle unità filtranti ad aria ad alta efficienza (HEPA). In ogni caso diventa così indispensabile stipulare un contratto di manutenzione programmata con la ditta installatrice degli impianti HVAC dell’ospedale, che preveda come obbligo una sostituzione programmata di tutti i filtri HEPA, in media ogni 6-12 mesi. A dirla tutta, la funzionalità di alcuni sistemi potrebbe richiedere un intervento manutentivo o di controllo più frequente; ad esempio si consiglia di verificare periodicamente la perdita di carico dell’aria nell’attraversamento dei filtri per determinare la corretta frequenza di sostituzione del filtro.
Le camere di isolamento e i locali “sporchi” dell’ospedale (ad esempio, le zone in cui viene stoccata la biancheria usata) dovrebbero essere mantenuti invece con una pressione relativa negativa (< 2,5 Pa) rispetto agli ambienti confinanti. Questo dovrebbe impedire che le particelle patogene infettive fuoriescano da questi locali e vengano trasmesse dalle correnti d’aria verso le aree pulite dell’ospedale.
Gli ambienti dovrebbero ricevere un minimo tra i 6 – 12 ricambi d’aria all’ora, e tutta l’aria in ripresa dovrebbe essere espulsa direttamente all’esterno senza ricircolo. Se ciò non fosse possibile, l’aria deve passare attraverso appositi filtri HEPA prima di essere posta in ricircolo nell’impianto principale.
I ricambi aria
Delle camere operatorie e dei locali di isolamento si è detto, anche se va rilevato che vista la scarsità di dati e di letteratura scientifica, in altri report si consigliano valori decisamente più elevati, arrivando a valori di 30 (e oltre) ricambi orari (tabella 2), ponendo nel contempo anche una maggiore attenzione verso gli spazi – ambiente dalle dimensioni più contenute (piccole stanze).
Tab 2 Parametri microclimatici dei reparti ospedalieri veterinari.
Reparto | Pressione differenziale verso gli spazi confinanti | Ricambi orari minimi totali (Vol/h) | Ricambi orari minimi di aria esterna (Vol/h) | Umidità relativa (%) | Temperatura di progetto Estate/Inverno (°C) |
Sala operatoria | Positiva | 15 | 15 | 45 – 60 | 18 – 18 |
Sala pre operatoria | Negativa | 4 | 4 | 45 – 60 | 18 – 18 |
Corridoi | Positiva | 4 | 4 | 45 – 60 | 22 – 22 |
Ambulatorio | Negativa | 8 | 8 | 55 – 60 | 22 – 22 |
Sale post operatorie / terapia intensiva | Positiva | 10 | 10 | 45 – 60 | 18 – 27 |
Quarantena/isolamento | Negativa | 15 | 15 | 45 – 55 | 22 – 22 |
Fonte: Rielaborazione delle prescrizioni del HVAC design manual 2017 dell’US Department of Veterans Affair.
In generale in tutti i reparti di degenza ospedaliera si dovrebbero comunque assicurare tra i 10 – 15 ricambi orari.
Nella situazione, per altro non infrequente, in cui gli animali dovessero essere trattenuti in gabbia, questi valori, specie poi per un controllo degli odori, dovrebbero essere incrementati fino a valori doppi (pe. fino a 20 ricambi per ora per i cani e fino a 30 per i gatti).
Difatti uno dei maggiori problemi dovuti all’alloggiamento degli animali in gabbie è che questa situazione crea diversi ostacoli che rendono difficoltoso un adeguato ricambio dell’aria all’interno della gabbia. La ventilazione del solo ambiente infatti non garantisce necessariamente un’adeguata ventilazione, e relativi ricambi dell’aria, all’interno della gabbia dove è posto l’animale.
La soluzione a questo problema è quello di attrezzarsi con apposite gabbie dotate di un sistema di ventilazione individuale comprensivo anche della canalizzazione di espulsione dell’aria (figura 4).
Questi sistemi individuali di ventilazione sono di norma abbastanza semplici nella loro funzionalità: l’aria di rinnovo viene immessa davanti alla gabbia, aspirata all’interno, e quindi poi espulsa nella parte superiore dell’edificio da una canalizzazione di ripresa e scarico. La soluzione più semplice per assicurare una ventilazione efficace delle gabbie risulta quella di realizzare in modo permanente queste strutture, lasciando la ventilazione di eventuali gabbie amovibili (su ruote) solo a casi eccezionali.
Comunque, l’utilizzo delle gabbie con ventilazione individuale porta in sintesi anche i seguenti vantaggi:
L’ambiente in cui si trova fisicamente l’animale presenta una qualità dell’aria superiore perché l’aria viene erogata ed espulsa direttamente nella gabbia.
I ricambi dell’aria ambiente possono essere ridotti. In realtà, bisogna comunque prestare molta attenzione ad immettere una quantità d’aria considerevole nella gabbia dell’animale, sia per la velocità dell’aria e sia per la possibile differenza di temperatura con quella ambiente, situazioni queste che potrebbero creare stress e disagio all’animale. Si consiglia di non superare una portata d’aria tra i 30 – 40 m3/h per gabbia, e questo limite, insieme al numero di gabbi servite, dovrebbe essere considerato per “armonizzare” il ricambio dell’aria dell’intero locale/ambiente.
Nell’ambiente, la percezione dell’animale degli odori di altri animali, viene ad essere ridotta.
In ultimo, non essendo lo scopo dell’articolo investigare la tipologia d’impianti di ventilazione suggerita, come già segnalato che la scelta, a volte controversa, ma sempre fortemente suggerita in questi casi, di utilizzare sola aria esterna per i ricambi d’aria, si scontra con l’economia di esercizio della struttura e con la minore propensione di spesa dei proprietari umani.
Diventa cosi inevitabile prevedere sistemi di recupero dell’aria espulsa, con economizzatori e funzionalità free cooling delle unità di climatizzazione.
La direzionalità dei flussi d’aria
I tecnici responsabili della ventilazione (di solito la ditta installatrice degli impianti HVAC) dovrebbero controllare spesso che vengano mantenuti gli equilibri progettuali dei flussi d’aria nelle varie aree dell’ospedale, specie poi quando avvengono le fasi di “change over” dell’impianto, da estate ad inverno e viceversa, o perlomeno almeno una volta un anno.
Nei restanti periodi di tempo, un modo semplice per confermare l’efficacia di una ventilazione, positiva o negativa, è quello di valutare la direzione di movimento dell’aria che indica la fiamma di un accendino posto in prossimità di una porta lasciata aperta all’incirca di 5 mm. Se non dovesse essere rilevato nessun movimento d’aria, è probabile, se non certo, che tra i due ambienti separati dalla porta socchiusa, non vi sia una differenza di pressione significativa.
Un’ultima, ma non secondaria, considerazione da tenere in debito conto nella progettazione di un sistema di ventilazione è l’ubicazione delle apparecchiature di ripresa ed espulsione dell’aria.
Sembra banale scriverlo, ma la posizione delle griglie di aspirazione dell’aria di rinnovo non dovrebbe essere situata vicino a quelle di espulsione perché questo potrà reintrodurre di nuovo gli odori e peggio, eventuali microrganismi patogeni nell’ospedale.
Conclusione
La prevenzione delle infezioni nosocomiali aerodisperse negli ambienti ospedalieri veterinari inizia con l’attenta progettazione della movimentazione dell’aria, prosegue con una corretta realizzazione delle strutture, e si completa con una gestione “intelligente” degli impianti HVAC.
Le necessarie procedure di pulizia e asepsi consigliate agli operatori veterinari, come la sterilizzazione dei materiali, la disinfezione dei siti e delle superfici esposte, la vestizione, l’igiene personale (lavaggio delle mani), dovrebbero essere accompagnate da un sistema di ventilazione in grado di assicurare un costante rinnovo dell’aria presente negli ambienti, specie in quelli ad alta criticità, oltre a garantire poi una sicura compartimentazione “aerea” dei movimenti dell’aria tra i diversi ambienti.
Nelle strutture veterinarie ottenere una maggiore sicurezza nell’igiene ambientale, riducendo al minimo la possibilità della diffusione di infezioni aeree nocosomiali, non dovrebbe comportare impegni economici insormontabili, ma potrebbe garantire una migliore speranza di cura (e di vita) ai nostri amici animali.
LE INFEZIONI VETERINARIE OSPEDALIERE
Le infezioni nosocomiali da trasmissione aerea, al pari di noi umani, rappresentano una minaccia costante per gli animali che vengono ricoverati presso le strutture veterinarie di cura.
Del resto, tutti gli operatori sanitari sono consapevoli che nei reparti ospedalieri risulta necessario osservare alcuni concetti e tipologie di impianti al fine di controllare e gestire la ventilazione e l’igienicità dell’aria in modo da poter impedire la trasmissione delle malattie infettive e patogene. Queste “attenzioni” prendono fondamento dal fatto che almeno il 20 – 30 per cento delle infezioni acquisite all’interno degli ospedali dai pazienti umani vengono trasmesse per via aerea.
Viceversa, quasi tutta letteratura scientifica veterinaria rimane generalmente concentrata solo sulle “cure” apportate a livello del paziente animale: l’uso di antibiotici per prevenire lo sviluppo di batteri multi-resistenti ai farmaci, l’antisepsi della pelle, e le varie istruzioni tecniche per gestire le diverse procedure di cura, più o meno invasive. Non si è invece a conoscenza di articoli veterinari specifici atti a prevenire la colonizzazione e la diffusione dei microrganismi infettivi aerodispersi nelle strutture ospedaliere (cosa diversa dal considerare le varie strategie sull’uso di antibiotici), così come di metodi appropriati per ridurre gli eventuali carichi patogeni all’interno dell’ospedale veterinario.
Alla luce di queste evidenze, si nota poi in generale che le cliniche e gli ospedali veterinari sparsi nella nostra penisola, nella maggior parte dei casi si affidano nelle loro strutture a sistemi di ventilazione e gestione dell’aria decisamente rudimentali (semplici impianti che prevedono unicamente l’espulsione dell’aria viziata) o addirittura, spesso, ne siano totalmente sprovvisti.
Non è poi qui ovviamente la sede per discutere l’erogazione di maggiori risorse pubbliche verso questo tipo di strutture, quasi tutte strettamente private e quindi in ultimo con finalità di lucro, ma pare evidente che oggi con l’aumento della consapevolezza del benessere animale, questa situazione di insufficiente attenzione e prevenzione, risulti un vulnus (la ventilazione, non i mancati finanziamenti) difficilmente giustificabile.
Va da sé che mentre risulta improbabile che la permanenza di un paio d’ore in un ospedale veterinario scarsamente e per nulla ventilato, possa provocare un impatto riscontrabile sulla salute dell’animale malato, va invece detto che in generale queste strutture sono comunque esposte ad una scarsa qualità dell’aria interna a causa di odori, a valori di umidità incontrollati, uso di prodotti chimici e di pulizia quasi sempre inquinanti, se non addirittura tossici, oltre ad essere disseminate di capelli (umani) e peli di animali domestici.
Pare cosi naturale che ambienti di questo tipo aggravino le eventuali situazioni di stress su tutti gli esseri viventi, sia che risultino persone o viceversa animali, rafforzando l’idea che sia quantomeno necessario provvedere ad una adeguata e costante ventilazione di tutti gli ambienti.
DEFINIZIONE DELLE TIPOLOGIE DI STRUTTURA VETERINARIA
Accordo n 1868 delle Conferenza Stato-Regioni – “Definizione dei Requisiti Strutturali, Tecnologici ed Organizzativi Minimi Richiesti per l’Erogazione delle Prestazioni Veterinarie da Parte di Strutture Pubbliche e Private”.
La classificazione delle strutture veterinarie pubbliche e private viene distinta alle seguenti tipologie:
Per studio veterinario si intende la struttura ove il medico veterinario, generico o specialista, esplica la sua attività professionale in forma privata e personale. La struttura assume la denominazione di studio veterinario associato qualora due o più medici veterinari, generici o specialisti, esplicano la loro attività professionale in forma privata ed indipendente, pur condividendo ambienti comuni. Gli studi veterinari sono sottoposti ad autorizzazione sanitaria nel caso di accesso degli animali.
Per ambulatorio veterinario si intende la struttura avente individualità ed organizzazione propria ed autonoma in cui vengono fornite prestazioni professionali da uno o più medici veterinari, generici o specialisti. In tali strutture è previsto l’accesso di animali senza ricovero oltre a quello giornaliero. Qualora nell’ambulatorio operi più di un medico veterinario o il titolare della struttura non sia medico veterinario, dev’essere nominato un direttore sanitario medico veterinario.
Per clinica veterinaria o casa di cura veterinaria si intende la struttura veterinaria avente individualità ed organizzazione proprie ed autonome in cui vengono fornite prestazioni professionali da più medici veterinari generici o specialisti e nella quale è prevista la degenza di animali oltre a quella giornaliera. La clinica veterinaria o casa di cura veterinaria deve poter fornire un’assistenza medico-chirurgica di base e/o di tipo specialistico ed è tenuta ad individuare un direttore sanitario medico veterinario.
Per ospedale veterinario si intende la struttura veterinaria avente individualità ed organizzazione proprie ed autonome in cui vengono fornite prestazioni professionali da più medici veterinari generici o specialisti e nella quale è prevista la degenza di animali oltre a quella giornaliera, il servizio di pronto soccorso sull’arco delle ventiquattro ore con presenza continuativa nella struttura di almeno un medico veterinario, i servizi di diagnostica di laboratorio. L’ospedale veterinario individua un direttore sanitario medico veterinario.
Per laboratorio veterinario di analisi si intende una struttura veterinaria dove si possono eseguire, per conto di terzi e con richiesta veterinaria, indagini diagnostiche strumentali di carattere fisico, chimico, immunologico, virologico, microbiologico, citologico ed istologico su liquidi e/o materiali biologici animali con rilascio di relativi referti. In tale struttura è vietato l’accesso di animali e non è consentito alcun tipo di attività clinica o chirurgica su animali. Il laboratorio veterinario individua un direttore sanitario.
Bibliografia
Joshua A Portner, Justine A. Johnson – Guideline for Reducing Veterinary Hospital Pathogens: Hospital Design and Special Considerations – MediMedia Animal Health (MMAH) –2010, USA
di Ing. Luca Ferrari
Leggi gli altri articoli di Luca Ferrari pubblicati su questo sito:
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https://www.rcinews.it/2015/05/27/3409/