Quello delle pompe di calore è un ambito ormai maturo, che nel corso degli anni si è ritagliato un ruolo di rilievo nel panorama energetico italiano ed europeo. Secondo i dati dell’European Environment Agency (EEA), nel 2013 le pompe di calore hanno prodotto nei 28 Paesi dell’Unione Europea una quantità di energia pari a 7,40 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (MToe), pari a circa il 9% del contributo totale per riscaldamento e raffrescamento delle fonti rinnovabili. L’incremento annuo medio dell’energia prodotta dalle pompe di calore tra il 2005 e il 2013 nell’EU-28 è stato del 16%, segno dell’interesse crescente per questa tecnologia e per i numerosi vantaggi che garantisce. In base alle stime Anima, una pompa di calore può consentire risparmi dal 40 al 60% di energia primaria: la European Heat Pump Association stima che nel 2013 le pompe di calore in Italia abbiamo consentito di evitare le emissioni di 2,32 milioni di tonnellate di gas a effetto serra. La Direttiva Europea RES (Renewable Energy Sources) riconosce infatti questa come una tecnologia che impiega energie rinnovabili, visto che queste macchine sfruttano il calore immagazzinato nell’aria, nell’acqua superficiale o di falda e nel terreno. Per di più, una singola pompa di calore riscalda in inverno e raffresca in estate e consente di accrescere la classe energetica dell’edificio. Per riuscire a ottenere tutti questi vantaggi è però necessario che la pompa di calore sia correttamente dimensionata e che si scelga la tecnologia più adatta per il sito d’installazione e l’applicazione finale. Su questo tema abbiamo sentito il parere di alcuni tecnici, che lavorano da diversi anni in questo ambito, per sapere quali sono in base alle loro esperienza i punti più critici nella progettazione di una pompa di calore e le soluzioni che mettono in atto, in particolare nel settore degli edifici per uffici.
Le procedure per un dimensionamento corretto
«Per dimensionare la pompa di calore, facciamo un tipico calcolo delle dispersioni termiche e delle rientranze estive valutando bene quali sono le rese dell’eventuale pompa di calore alle temperature esterne di progetto, in modo da essere sicuri che la macchina possa far fronte alle dispersioni calcolate», afferma Oliviero Castellanelli, dello Studio Associato ingegneri Gasparini e Castellanelli. Per il dimensionamento usiamo dei software solamente nel caso di impianti VRF e utilizziamo quelli della casa produttrice per valutare le rese (estive e invernali) alle temperature esterne di progetto». Un approccio condiviso anche da Luca Macchiavelli, dello Studio Tecnico Per. Ind. Luca Macchiavelli. «Tutte le volte che ho bisogno di una pompa di calore, calcolo il fabbisogno energetico dell’edificio, individuo le caratteristiche che deve possedere la macchina e poi mi interfaccio con l’ufficio tecnico dell’azienda per uno scambio d’informazioni. Non uso quindi dei software. Partiamo dalle dispersioni base e dalle fonti di calore interne: infissi, involucri esterni, illuminazione, personale, ecc. Se il cliente non sa quante persone lavoreranno in un certo ambiente, possiamo utilizzare la UNI 1039 per il calcolo delle persone per metro quadro. La taglia della macchina in genere viene decisa dall’azienda madre con un certo coefficiente di sicurezza. Questo serve soprattutto se l’utente adotta delle modalità poco efficienti: se ad esempio apre le finestre per effettuare il ricambio d’aria. Quando si va a dimensionare la pompa di calore per un edificio da uffici un elemento importante da considerare è il ricambio d’aria. Si può utilizzare un recuperatore del calore contenuto nell’aria primaria con un terminale, ad esempio un fan coil, che si sposa bene con l’utilizzo negli uffici. Un fattore progettuale importante – prosegue Macchiavelli – è che la pompa di calore, come tutte le macchine elettriche, deve lavorare a portata costante: bisogna quindi prevedere un volano, cioè un accumulo di acqua calda. Posso dimensionare bene la pompa di calore ma senza considerare l’accorgimento progettuale del volano la macchina farebbe tante accensioni e nel lungo periodo si rovinerebbe. Il volano va dimensionato in funzione alla potenza della pompa. Per le prime pompe di calore che si montavano, sei o sette anni fa, si teneva conto solamente del contenuto di acqua dell’impianto. Il problema è che il contenuto di acqua è variabile perché a valle posso avere dei sistemi che raggiunta una certa temperatura si fermano oppure dei pannelli a pavimento (caldo e freddo) in cui una volta raggiunta la temperatura ottimale la portata d’acqua cala». Per quanto riguarda l’utilizzo dei software di dimensionamento, la procedura utilizzata da Gabriele Poli dello Studio Termotecnico G. P. Project di Gabriele per.ind. Poli è diversa. «Per dimensionare la pompa di calore usiamo software forniti o dall’azienda fornitrice della pompa di calore o il software Termus da ACCA Software – spiega Poli -. Questi software prendono in considerazione tutte le normative UNI TS in vigore. Per dimensionare una pompa di calore, le grandezze principali che bisogna prendere in considerazione sono le dispersioni termiche dell’involucro edilizio e la temperatura esterna invernale della zona climatica in cui si andrà a installare l’impianto. Nel settore terziario, altri fattori importanti sono ovviamente la tipologia dell’azienda e le attività di cui si occupa. In genere usiamo più marche e ci affidiamo ai centri assistenza della zona. Le macchine vengono scelte in base alle richieste del committente dei lavori o del proprietario dell’edificio in riferimento al centro assistenza più vicino».
È più importante il riscaldamento invernale o il raffrescamento estivo?
«La mia preoccupazione principale è il riscaldamento invernale: dopo aver dimensionato la pompa di calore per il riscaldamento invernale, verifico che la pompa di calore fornisca la potenza sufficiente per il funzionamento estivo – spiega Castellanelli. La pompa di calore, nei progetti da noi realizzati, quando è correttamente dimensionata per il riscaldamento invernale in genere ha la resa adeguata anche per il raffrescamento estivo». L’approccio di Castellanelli non è però condiviso al cento per cento da Luca Macchiavelli, che afferma: «Oggettivamente vediamo che oggi sta diventando più importante il freddo del caldo. È una tendenza che si sta imponendo: spesso c’è più bisogno di potenza frigorifera estiva piuttosto che di potenza per il riscaldamento invernale. Con la Legge 10 ci sono meno carichi rispetto a un tempo, gli inverni poi sono meno rigidi e le estati più calde a causa dei cambiamenti climatici. Facciamo l’esempio di una sala riunioni da 20 metri quadri occupata da 20 persone: ogni persona produce una potenza termica indicativamente di 100 Watt per cui si arriva a 2 kW di potenza complessiva. Si giunge al paradosso che in inverno a un certo punto si può anche ipotizzare di spegnere l’impianto di riscaldamento e bisogna preoccuparsi solamente del ricambio di aria e usare uno scambiatore di calore efficiente (almeno il 90%), mentre in estate se il ventilconvettore è dimensionato a 2,5 kW bisogna ipotizzare di aggiungere altri 2 kW di potenza perché altrimenti non si riesce a raffrescare la stanza. Questo vale anche negli auditorium e nei casi in cui ci sono delle punte nel numero di persone che occupano un ambiente. Da qui nasce l’esigenza di avere delle buone schermature solari per l’edificio e io spingo il cliente verso un edificio a bassa richiesta energetica, piuttosto che nell’investire sull’impianto produttivo. Ci possono anche essere casi particolari. Se abbiamo un classico edificio rettangolare o quadrato orientato Nord-Sud, in certi momenti dell’anno a Sud c’è troppo caldo e a Nord fa freddo. A Casalecchio di Reno ci siamo occupati di un impianto con una pompa di calore a gas refrigerante per un edificio adibito a uffici con un sistema a tre tubi che consentono quindi di fare il caldo e il freddo contemporaneamente per settori».
L’abbinamento con l’impianto fotovoltaico
L’abbinamento di un impianto fotovoltaico a una pompa di calore elettriche crea un sistema complessivo altamente efficiente e a basse emissioni inquinanti. Ma qual è la taglia ottimale dell’impianto fotovoltaico? «Noi partecipiamo a numerose gare e in questi casi è fondamentale presentare dei progetti con la massima efficienza: abbinare il fotovoltaico significa aumentare la quota di energia da fonti rinnovabili e alza la classificazione energetica dell’edificio», spiega Carlo Granata di Proimpianti. Per la taglia dell’impianto fotovoltaico, come minimo ci mettiamo sui valori di legge (D.Lgs 28/2011) e poi, aumentando la taglia, accresciamo l’efficienza dell’edificio cercando il giusto equilibrio fra impatto economico, energia elettrica prodotta ed energia consumata. In edifici già molto performanti talvolta non è così conveniente aumentare la taglia dell’impianto solare e non c’è una formula precisa ma bisogna fare diverse modellazioni». «Al di là delle obbligatorietà sui nuovi edifici e le ristrutturazioni rilevanti, il fotovoltaico lo consigliamo sempre», spiega Castellanelli. Nei nostri progetti non andiamo a prevedere la taglia dell’impianto fotovoltaico per la pompa di calore perché è un campo diverso dal nostro, essendo noi specializzati nel settore idraulico. Il consiglio è quello di abbinare l’impianto fotovoltaico perché la principale lamentela del cliente, quando abbiamo installato impianti in sola pompa di calore, è l’elevato costo delle bollette dell’energia elettrica. Non sempre si riesce a fargli capire che non gli arrivano delle bollette del gas altrettanto elevate». «Come azienda noi siamo partiti proprio come installatori di impianti fotovoltaici e adesso abbiniamo quasi sempre il fotovoltaico alla pompa di calore. Ma con un approccio multi-tecnologico – spiega Alessandro Stefanizzi di Genesis Srl -. Alle volte preferiamo proporre al cliente di installare un impianto fotovoltaico più piccolo di quello che si potrebbe per andare a investire su un’altra tecnologia, come ad esempio l’illuminazione a LED. In questo modo il cliente può utilizzare una nuova tecnologia e ne trae comunque un vantaggio economico».
Il calcolo del fabbisogno energetico
La norma UNI TS 11300 parte 4 consente di calcolare il rendimento di generazione delle pompe di calore per il riscaldamento ambiente e l’acqua calda sanitaria. Però, secondo Carlo Granata, è necessario effettuare i calcoli con qualche precauzione. «Il calcolo è eseguito suddividendo il periodo totale di attivazione in intervalli elementari di durata mensile o di frazioni di mese (bin). Per calcolare il fabbisogno energetico del singolo bin si usa una formula in cui l’energia totale mensile necessaria è prima divisa per i gradi ora mensili e poi moltiplicata per i gradi ora del bin. Dividendo il fabbisogno del bin per il numero delle ore del bin si ottiene la potenza massima della macchina per quel determinato bin – spiega Carlo Granata -. Tutto questo sarebbe perfetto se l’unica variabile fosse la temperatura, ma in realtà sono presenti anche dei carichi interni. Il calcolo fa sì che vengano tagliate le prestazioni a carico parziale, soprattutto nel caso degli edifici ben isolati. Si ottengono cioè dei bassissimi rendimenti, in particolare con temperature rigide. Le faccio l’esempio di un edificio ambulatoriale di tipo sanitario per il quale era stata prevista nel progetto iniziale una pompa di calore aria-aria da 45 kW dimensionata sull’estivo – prosegue Granata -. L’edificio era previsto in classe B perché le prestazioni della pompa di calore risultavano al 70% con dei COP sempre sotto il valore di 2. Noi siamo intervenuti installando due pompe di calore modellate correttamente e riducendo i carichi estivi. Installare due pompe di calore invece di una sola ci ha permesso di calcolare il coefficiente di carico sulla metà della potenza di progetto. In questo modo l’edificio è finito in Classe A+ (2,3 kWh/metro cubo anno), mentre nel progetto iniziale sarebbe stato in Classe B (9 kWh/metro cubo anno), mantenendo quasi lo stesso involucro dell’edificio (il miglioramento nelle prestazioni dello stesso è stato di circa il 25%). Tutto ciò modellando il sistema di produzione e quindi calcolando correttamente i rendimenti delle pompe di calore. In altre parole: più l’involucro è performante, meno la pompa di calore risulta performante in base ai modelli di calcolo della UNITS 11300-4».
In caso di basse temperature
Le pompe di calore funzionano con rendimenti ottimali quando la differenza di temperatura fra la sorgente esterna e il serbatoio è massimo di 40-50 °C: per differenze superiori l’efficienza diminuisce. Questo vuol dire, per prima cosa, che è meglio utilizzarle con sistemi di riscaldamento radianti a bassa temperatura, in quanto quelli a radiatore richiedono temperature più alte. C’è poi il problema delle pompe di calore aeriformi, che estraggono calore dall’aria esterna che ha delle temperature variabili e può diventare molto fredda. Se alla bassa temperatura si unisce un elevato valore di umidità, come avviene spesso nella Pianura Padana, allora la pompa di calore deve usare una parte della sua energia per lo sbrinamento. «Ci sono pompe di calore che perdono in efficienza in maniera trascurabile, altre che non danno più la potenza che serve e usano l’energia unicamente per lo sbrinamento – spiega Luca Macchiavelli -. Ci sono anche i casi dei chiller reversibili, cioè macchine che nascono per il freddo e che vengono adattate a fornire calore e che quindi a basse temperature hanno dei rendimenti ben poco elevati». «Se in certi periodi dell’anno la temperatura esterna è particolarmente rigida o se l’edificio non è particolarmente efficiente, installiamo anche delle mini-caldaie a condensazione di supporto alla pompa di calore – spiega Stefanizzi -. Nel caso dei nuovi edifici o delle grosse ristrutturazioni cerchiamo d’intervenire in fase di progetto per rendere l’edificio il più efficiente possibile e in questi casi ovviamente si sente meno la necessità del contributo della caldaia di supporto. Soprattutto nel residenziale, abbiamo a che fare con situazioni in cui si deve fornire acqua ad alta temperatura (pensiamo ai classici termosifoni) e in questi casi si possono installare dei prodotti ibridi: caldaia a condensazione più pompa di calore. Questa è una dimostrazione di quanto negli ultimi anni si sia investito molto in R&S e siano stati sviluppati prodotti con rendimenti ben più elevati rispetto al passato. Ci sono aziende che hanno sviluppato delle centraline che, in funzione della temperatura esterna e della produzione di un eventuale impianto fotovoltaico, decidono se far funzionare la pompa di calore o la caldaia a condensazione». La soluzione della caldaia di supporto viene presa in considerazione anche da Oliviero Castellanelli. «Nei casi di basse temperature, quando ci è possibile cerchiamo di introdurre una caldaia a gas a condensazione per la produzione di acqua sanitaria – spiega Castellanelli -. La pompa di calore potrebbe trovarsi in difficoltà nel soddisfare sia il fabbisogno di acqua calda sanitaria e sia di riscaldamento e quindi svincolando le due produzioni ci tuteliamo maggiormente. Anche nelle regioni del Sud Italia nei mesi invernali si raggiungono delle temperature di progetto prossime allo zero ed è necessario fare attenzione alle rese invernali. Per contro, se le temperature esterne invernali sono più alte, i limiti di Legge dell’isolamento termico delle pareti perimetrali o dei vetri sono più alti. E credo che comunque sia sempre la fase invernale a rimanere critica, soprattutto per le tecnologie aria-aria e aria-acqua. Per le pompe geotermiche il discorso ovviamente cambia, visto che la temperatura del terreno rimane per lo più costante durante l’anno». Ma in Italia ci possono essere condizioni climatiche in cui l’installazione della pompa di calore non è indicata? «L’unico limite concreto che vedo nell’installazione delle pompe di calore riguarda l’edificio: se l’involucro non è efficiente, la pompa di calore lavora al massimo senza riuscire a soddisfare il fabbisogno termico – spiega Stefanizzi -. Ha senso quindi installarle dove ci sono le condizioni. Le caratteristiche meteorologiche del sito d’installazione incidono meno: basti pensare che i prodotti che usiamo noi sono venduti anche in climi ben più rigidi del nostro, come nel Nord Europa».
Pompe di calore geotermiche: sì o no?
Infine, abbiamo chiesto il parere dei tecnici sulle pompe di calore geotermiche, che garantiscono ottimi rendimenti, richiedono una scarsa manutenzione ma hanno un elevato costo per la perforazione del terreno. «In Italia si possono utilizzare tutte le tecnologie di pompe di calore: geotermiche, aerotermiche, idriche – spiega Gabriele Poli -. Preferiamo installare le sonde geotermiche in verticale perché quelle in orizzontale possono essere disturbate ad esempio dalle radici degli alberi, problema che naturalmente non si pone con le sonde geotermiche in verticale. In Italia dei grossi problemi non si verificano per le sonde verticali, tranne che nell’Alto Adige (nelle Dolomiti) a causa della durezza del terreno e della difficoltà a perforarlo. Qui in Emilia Romagna siamo arrivati anche a 200-250 metri di profondità a seconda delle zone. Tipicamente le sonde verticali sono garantite dieci anni dalle aziende produttrici, ma le sonde possono funzionare bene anche tre volte tanto e non richiedono una manutenzione particolare. Il COP delle pompe di calore geotermiche a temperature sotto lo zero non si riduce in maniera sostanziale, a differenza di quanto avviene per le pompe aria-aria e aria-acqua. A -5oC il COP di queste due ultime tipologie è fra 2,5 e 3,0 (rispetto al valore tipico di 4,0 a una temperatura intorno allo zero) ma alcune macchine sono comunque garantite per lavorare fino a -25oC (a secondo della marca), cioè a temperature di alta montagna». «Un campo geotermico è generalmente sempre possibile installarlo, a meno che il lotto non sia perfettamente chiuso (in questo caso lo si può installare solamente nelle fondazioni dell’edificio) – spiega Granata -. Il campo geotermico però costa molto e quindi va modellato in maniera che copra il 60/70% circa dell’energia richiesta dall’edificio e facendo in modo che i picchi di richiesta vengano coperti da sistemi meno costosi. È sempre un problema di costi: un conto è chiedere 25.000 euro per fare un campo geotermico da 20 kW che soddisfi il 100% del fabbisogno energetico; un conto è progettare un campo geotermico da 8 kW meno costoso, con una piccola caldaia di supporto che soddisfi i restanti 12 kW». (articolo di Roberto Rizzo).