Nato a Firenze nel 1949, Alessio Gatteschi si è laureato in Ingegneria meccanica nel 1975 (relatore prof. Enzo Giusti) presso l’Università degli Studi di Firenze. Dopo un’esperienza presso un’impresa di installazioni tecnologiche ha intrapreso la libera professione a Empoli, trasferendo successivamente il proprio studio SETI (Servizi Tecnici di Ingegneria) a Prato. L’attività si è prevalentemente concentrata nel settore dell’impiantistica civile e industriale, interessando gli ambiti meccanico, elettrico, delle energie rinnovabili e del risparmio energetico, seguendo l’intero iter dall’ideazione alla direzione dei lavori. Nel 2005 è stata creata la Seti Ingegneria come naturale evoluzione dello studio Seti, nella quale l’ing. Gatteschi è Amministratore unico e Direttore tecnico. Alessio Gatteschi ha pubblicato articoli su diverse testate tecniche di settore e ha partecipato, come relatore a numerosi convegni e congressi, ha inoltre ricoperto importanti cariche in diverse organizzazioni e associazioni di rappresentanza attive a livello nazionale e locale.
«La meccanica e i motori in particolare mi hanno sempre appassionato – racconta Alessio Gatteschi – al punto che il mio primo progetto di tesi era incentrato su una vettura di Formula 1. Purtroppo quello studio non poté concretizzarsi e, quasi per caso, mi fu proposta una ricerca sugli impianti di condizionamento. L’argomento mi piacque e, completati gli studi, continuai a lavorare nel settore con interesse e soddisfazione crescenti, prima all’interno di una delle imprese più importanti di Firenze, poi come libero professionista anche in collaborazione con altri colleghi».
Gli anni Settanta sono stati il periodo nel quale la figura del progettista degli impianti ha iniziato ad affermarsi come autonoma rispetto alle imprese…
«Lavoro non ce n’era molto per un progettista alle prime armi: a quei tempi non c’erano bandi e gare e, per la maggior parte, si trattava di progetti per impianti di riscaldamento in edifici civili o artigianali. Le mie prime commesse erano prevalentemente affidate, per conoscenza diretta, dagli installatori stessi. Anche gli strumenti professionali erano un patrimonio da costruire passo per passo: ricordo che acquistai uno dei primi personal computer ma, poiché non esistevano programmi specialistici, dovetti fare anche il programmatore…».
Come si è evoluta l’attività?
«Dopo il trasferimento dello studio a Prato siamo progressivamente entrati in contatto con numerose fra imprese edili e impiantistiche, aziende industriali, pubbliche amministrazioni e committenti privati, consolidando la nostra posizione come referenti tecnici presso diversi studi di architettura e, parallelamente, partecipando a gare e concorsi che ci hanno permesso, nel tempo, di creare un portafoglio clienti ampio e articolato. Abbiamo evitato di specializzarci in un settore specifico preferendo spaziare in vari settori ognuno con diverse problematiche (uffici, scuole, edilizia ospedaliera, ecc.) in modo da ampliare conoscenze ed esperienze».
Qual è il principale riferimento ideale nella pratica professionale?
«Personalmente mi ha sempre interessato l’ambito del risparmio energetico e delle risorse rinnovabili, anche quando questi argomenti non erano di stretta attualità: ricordo che già negli anni Ottanta avevo presentato questi temi in alcuni corsi indirizzati agli installatori impiantistici. Il Legislatore aveva posto al centro dell’attenzione queste problematiche già con la Legge 373/76 e, poi, con la Legge 10/91. Sono stati fatti dei notevoli passi avanti ma, purtroppo, abbiamo perso almeno due decenni senza che il settore fosse realmente stimolato a interessarsi a una questione che, oggi, è diventata centrale non solo per noi progettisti».
Su cosa si basa un progetto orientato al risparmio energetico?
«Il primo e più importante fattore è la volontà da parte del committente. Proprio recentemente abbiamo completato un progetto molto interessante di riqualificazione energetica di un edificio esistente, che la committenza ha espressamente voluto rendere un intervento esemplare, chiedendoci di raggiungere la classificazione energetica A+. Un’altra cosa che bisogna sempre tener presente è che il risparmio energetico non è gratuito: è necessario investire e questo investimento dev’essere adeguatamente valutato in fase di progettazione, con studi di fattibilità tecnico economica, e anche valorizzato in fase di gestione dell’edificio e degli impianti. Altrimenti, con il tempo, si perderanno gran parte dei benefici energetici ed economici. In questo ambito, un aspetto fondamentale che necessita di un profondo ripensamento è la carenza o l’assenza di legislazione tecnica sul condizionamento estivo».
Cosa cambierebbe nell’attuale situazione italiana sull’efficienza energetica?
«Ritengo che il primo elemento al quale porre rimedio sia la frammentazione territoriale delle norme sulla certificazione energetica. Non è ragionevole che le certificazioni non siano fra loro confrontabili a causa di normative e software di calcolo diversi su base regionale: prendiamo quanto di meglio c’è nei programmi delle varie regioni e facciamone uno solo, valido ovunque. Un’identica considerazione vale per la possibilità di svolgere l’attività di certificazione indipendentemente da dove è stato seguito il corso di formazione: se, come progettista, posso esercitare ovunque in Italia, devo anche poter anche certificare edifici situati dappertutto nel nostro paese senza dover fare corsi specialistici ed accreditamenti per ogni regione. Le norme vigenti screditano l’impegno profuso da molti certificatori coscienziosi, privano i progettisti di uno strumento di verifica attendibile circa l’efficacia del proprio operato e, nei fatti, vanificano quegli aspetti di comunicazione e trasparenza di importanti contenuti tecnici nei confronti dei committenti e dei cittadini. Oggi assistiamo anche alla proliferazione dei protocolli di certificazione della sostenibilità (ad esempio, leed, itaca, casa clima, bream, ecc.), che creeranno ulteriori graduatorie, fra loro parallele ma comunque non confrontabili. In sostanza, ritengo che sia necessario uniformare i criteri di valutazione e gli strumenti da utilizzare per confrontare la sostenibilità energetica e ambientale degli edifici».
Secondo quali criteri?
«Non esiste a mio avviso una formula universalmente valida, poiché l’edificio e i suoi impianti sono fatti su misura e come tali vanno considerati. Sicuramente una delle prime valutazioni riguarda la capacità del sistema edificio-impianti di risultare il più parco possibile nei propri consumi sia per le dispersioni invernali, sia per le rientrate estive. In seconda istanza si passerà alla valutazione di quali soluzioni tecniche risultino più idonee, partendo dal presupposto che il ricorso alle energie rinnovabili, da contestualizzare con attenzione, è normalmente la soluzione da preferire rispetto all’uso delle risorse fossili le quali, come sappiamo, sono in via di esaurimento con tutte le problematiche che questo comporta. La ricerca del risparmio, ovvero dell’efficienza degli edifici, interessa però anche gli aspetti gestionali. Oggi i sistemi di regolazione e controllo conoscono un’ampia diffusione anche grazie alla semplificazione nell’uso, ma resta il fatto che la gestione degli impianti dev’essere affidata a personale qualificato, altrimenti si corre il rischio di vanificare le potenzialità di quanto realizzato. La figura dell’energy manager è destinata ad acquistare sempre maggiore importanza, proprio come avviene con una macchina da corsa che, per vincere, ha sempre bisogno di un buon pilota e di una perfetta manutenzione».
a cura di Livia Giannellini