Il circolo virtuoso della responsabilità

 

Figlio “d’arte”, Giovanni Curculacos ha sempre praticato il mondo della termotecnica costruendo, nel tempo, un proprio percorso professionale sfociato nella costituzione di una realtà societaria fra le più attive nel settore.
Nato a Atene nel 1960, Giovanni Curculacos completa nel 1989 gli studi in Ingegneria meccanica, con indirizzo termotecnico, presso l’Università degli Studi di Padova, compiuti contemporaneamente al supporto tecnico-progettuale offerto allo studio paterno, specializzato nel settore degli impianti termotecnici. Dopo esperienze in importanti società di progettazione padovane, rileva l’attività di famiglia ampliando progressivamente il numero e il valore delle commesse e, di conseguenza, l’organigramma dello studio Edilimpianti. A seguito di un periodo di stretta collaborazione con TF Ingegneria, società specializzata in ambito elettrico, le due realtà si fondono in un’unica struttura – TFE Ingegneria – che riunisce esperienze e conoscenze già esistenti da oltre un ventennio. L’attività spazia dalle prime fasi della progettazione fino alla realizzazione in cantiere e al collaudo, per impianti meccanici, elettrici e speciali, idrotermosanitari e antincendio, in campo civile, industriale e sanitario. Oltre a Giovanni Curculacos, TFE Ingegneria è composta da Antonio Bisaglia, Pierluigi Fasan, Oriano Sturaro, Antonia Zappaterra e Zeffirino Tommasin: dispone oggi di venti tecnici specializzati nei settori termotecnico, elettrico, energia e prevenzione incendi.

«Ho iniziato a frequentare lo studio di mio padre Demetrio, una delle prime realtà venete nell’ambito della progettazione impiantistica, già durante il periodo universitario – esordisce l’ing. Curculacos. Come me, mio padre si era laureato a Padova e, dopo un breve periodo trascorso in Grecia, ritornò in Italia alla metà degli anni Sessanta proprio per aprire la sua attività professionale, assieme a suo fratello. Nel corso del mio secondo anno accademico mio padre decise di abbandonare lo studio, che ai tempi contava una ventina di unità, per lavorare in proprio. Così, con largo anticipo, ho iniziato a prendere confidenza con tutti gli aspetti progettuali e operativi tipici della professione. Il mio contributo “volontario” all’attività paterna ha ritardato di qualche anno la laurea ma, appena uscito dall’università, disponevo già di una discreta esperienza».

Per uno studente, ieri come oggi, quanto è importante l’interazione con una realtà professionale?

«Per me è stata un’opportunità notevole che, a mio avviso, dovrebbe essere offerta da tutti coloro che aspirano a intraprendere questa professione e che, per me, costituisce motivo di soddisfazione. Studio e lavoro sono due ambiti inscindibili, soprattutto nel nostro settore che richiede un costante aggiornamento rispetto alle metodologie e all’evoluzione delle tecnologie. Allora perché non anticipare il proprio ingresso nel mondo professionale, in modo da calare nella realtà quanto si impara a livello teorico? La conoscenza di base è fondamentale e tutto quanto ho studiato quando frequentavo l’università si è poi rivelato indispensabile. Ma è altrettanto importante compiere un percorso di apprendistato che permetta di impratichirsi rispetto alle dinamiche del mondo professionale, all’uso degli strumenti di lavoro e al rapporto con tecnici e committenti. Anche perché oggi, dentro gli studi, il tempo e le risorse da dedicare alla formazione sono sempre più scarsi».

Gli interventi presso il nuovo Polo Umanistico dell’Università di Padova ha affrontato aspetti progettuali multidisciplinari (orientamento e schermature, efficientamento, cross ventilation, acustica e illuminotecnica).

L’inizio degli anni Novanta è stato un periodo di ulteriori esperienze…

«Una serie di motivi personali ed economici mi condussero a collaborare con altre società di progettazione: dapprima con Steam, dove sono stato Direttore tecnico, e poi con Tifs, come consulente esterno. Dopo circa due anni mi sentii in grado di assumere la guida dello studio di famiglia che, nel frattempo, aveva assunto la denominazione di “Edilimpianti”. Da allora siamo cresciuti molto, soprattutto grazie alle commesse nel settore sanitario, fino al 2007, quando abbiamo incontrato TF Ingegneria, una realtà specializzata in progettazione di impianti elettrici molto radicata nel nostro territorio. Con loro la collaborazione è stata sempre più stretta, fino alla decisione di unire i due studi nell’attuale società TFE Ingegneria che oggi, oltre a me, comprende altri cinque soci».

Qual è la vostra principale caratteristica?

«Sicuramente la multidisciplinarietà, che ci permette di affrontare un ampio spettro di tematiche progettuali: si tratta di un altro aspetto per me molto gratificante, perché ci consente di assumere un ruolo di coordinamento anche rispetto ad ambiti, come quello edilizio, nel quale pur non disponendo di professionalità specializzate, siamo comunque in grado di offrire importanti contributi, ad esempio per quanto attiene il corretto inserimento ambientale delle costruzioni. Questo in particolare è un settore rispetto al quale si può fare molto: nonostante la confusione che regna nel corpo legislativo, questioni come l’orientamento degli edifici rispetto al sole oppure il ricorso a soluzioni architettoniche mutuate dalle tradizioni costruttive locali iniziano a entrare anche all’interno del lessico normativo. Si tratta di un processo di recupero e valorizzazione delle “buone regole” del costruire che è solo agli inizi, rispetto al quale l’attenzione della pubblica opinione sembra addirittura più avanti nei confronti del legislatore e, a volte degli stessi tecnici. Purtroppo, in questo caso, l’aspetto più critico consiste oggi nell’assenza di controlli efficaci che, di fatto, sfavorisce chi si pone in modo consapevole di fronte al progetto del nuovo come dell’esistente».

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di protocolli di certificazione delle prestazioni ambientali del costruito.

«Si tratta di iniziative molto interessanti che, però, sopperiscono solo parzialmente alla più generale domanda di qualità dell’ambiente costruito. La legislazione nazionale in tema di sostenibilità edilizia, infatti, premia i progetti virtuosi con bonus volumetrici o con diverse forme di incentivazione economica, rispetto alle quali sarebbe doveroso effettuare controlli circa la rispondenza nei fatti di quanto dichiarato sulla carta, indipendentemente dal rispetto di un protocollo per quanto valido. Purtroppo, al momento, l’unica garanzia in merito è riconducibile alla personale assunzione delle proprie responsabilità da parte degli attori interessati, fatto che nella mia esperienza non sempre si verifica. La mancanza di strumenti e di figure di controllo non comporta solo l’impunità per chi non opera in modo responsabile, ma si riflette anche nella pratica quotidiana di coloro che, pur volendo svolgere la propria attività con correttezza, si trovano senza punti di riferimento e, di conseguenza, non si rendono più conto di come ogni loro azione risulti comunque rilevante rispetto al risultato finale».

Quanto influisce l’aspetto economico?

«Secondo me non è una questione economica ma culturale. Se ben progettato e realizzato, un edificio ambientalmente ed energeticamente sostenibile non costa più di un edificio non sostenibile. Quando ci è capitato, siamo riusciti a mantenere le spese all’interno del budget senza pregiudizio per le prestazioni, chi ha costruito ci ha guadagnato e il committente ha ottenuto quello che voleva, nei tempi previsti e a un costo ragionevole.Queste condizioni creano i presupposti per l’instaurazione di un circuito virtuoso, nel quale l’assunzione di responsabilità interessa tutte le figure del processo edilizio, comprese quelle di controllo, contribuendo a elevare il livello complessivo degli interventi, a vantaggio non solo del singolo committente ma dell’intera comunità».

Il nuovo Polo scolastico del Comune di Santa Maria di Sala ha costituito l’occasione per una progettazione integrata, di ampio respiro, volta ad una corretta gestione degli spazi e delle risorse energetiche.

a cura di Livia Giannellini